La Trasfigurazione: un invito di libertà a guardare e fare proprio lo sguardo di Gesù

04.03.2023

di Egidio Cappello

Gesù si trasfigura? Gesù lo avrebbe fatto per apparire diverso da quello che è o per suscitare emozioni più forti? Sarebbe forse il luogo dove si trova a imporre a Gesù la trasformazione della propria figura? Niente di tutto questo. Gesù in quei momenti sull'alto monte, resta il medesimo di sempre e il suo volto non subisce trasformazioni di sorta. L'evento riguarda i tre apostoli, Pietro, Giacomo e Giovanni, che giunti sulla cima dell'alto monte, trovano in se stessi la capacità di vedere e di conoscere la figura di Gesù, come è nella realtà. Sono i tre discepoli che riescono, sulla cima del monte, a vedere Gesù, superando illazioni e pregiudizi fortemente limitativi e devianti di un approccio reale alla figura del Signore. 

L'alto monte su cui Gesù è coi suoi tre discepoli è la localizzazione della conseguita libertà da ogni condizionamento culturale e spirituale: i discepoli sono liberi di guardare e fare proprio lo sguardo di Gesù. Gesù viene visto finalmente come è nella realtà e viene colto all'interno della storia del popolo giudaico. L'evangelista racconta lo smarrimento dei tre discepoli di fronte alla novità della scena, alla bellezza della scena e le parole di Pietro dimostrano lo smarrimento in cui cadono per il mistero che la visione di cui sono protagonisti. In uno scenario di misteriosa luminosità i discepoli vedono e capiscono la figura di Gesù nella sua singolarità e nella sua storia. Mosè ed Elia, con i quali Gesù appare in relazione intima, manifestano e indicano il tipo di appartenenza di Gesù alla storia del popolo di Dio. Gesù appare come il compimento di una storia iniziata molto tempo prima, storia che coinvolge personaggi tra i più importanti del passato come Mosè, padre delle Leggi ed Elia profeta. È chiaro l'intento dell'evangelista: comunicare, ai discepoli di tutti i luoghi e di tutti i tempi, che Gesù va guardato e capito per come è, che il pensiero di Gesù va letto e interpretato nel suo significato autentico, che il linguaggio di Gesù va conosciuto e usato nel modo più giusto. 

Entrare nel mondo di Gesù significa cogliere la bellezza della sua figura e la bellezza della sua storia. Solo chi coglie la bellezza di Gesù e ne gode con infinita gioia, può dire di aver capito la realtà del Figlio di Dio. Non possiamo non sottolineare quante letture hanno, nella storia dell'Occidente, compromesso l'approccio autentico alla vita di Gesù, e quante interpretazioni, quante congetture, quanti percorsi stilati per conformare la propria alla vita di Gesù hanno di fatto allontanato il credente dall'autentico messaggio di Dio. Mi sovvengono le parole dei discepoli di Emmaus che si allontanavano tristi e delusi da Gerusalemme per fare ritorno alle proprie case "Noi speravamo che fosse Lui". Sono queste le parole più cupe e drammatiche della storia di Gesù, sono queste parole a dimostrare che ancora, ai piedi della Croce, ci sono discepoli che non solo non hanno capito, ma che continuano a fabbricare il proprio Gesù, a somiglianza dei propri desideri. Il racconto è rivolto certamente a noi tutti, che siamo abituati ad entrare nel mondo di Gesù con schematismi già fissati dalle nostre esigenze personali o peggio dai modi consolidati di percepire la vita del Signore. Vedere il volto autentico di Gesù vuol dire coglierne la bellezza, e la bellezza di Gesù è la verità e la verità è la gioia. Non sbagliamo se indichiamo proprio nel possesso della bellezza e quindi nel possesso della gioia, il fondamento della vita cristiana. Può apparire strano che il passo della Trasfigurazione, passo della bellezza, della verità e della gioia, venga letto nel periodo quaresimale, periodo che la tradizione ha dipinto coi colori della tenebra, della sofferenza, della contrizione e della mortificazione.

È vero invece che la Quaresima è un periodo di grande elevazione dello spirito, di forte richiamo alla creatività e all'impegno per una vita di santità. Il periodo quaresimale è propizio per uscire dalla propria quotidianità che è fatta di tenebre e di sofferenze, di individualismi e di egoismi, e cercare la bellezza del mondo e dell'uomo, bellezza che è unità, pace, fraternità, appartenenza, accoglienza. I discepoli di Emmaus insieme rileggono la storia del popolo di Dio e tra le mura domestiche, mentre spezzano il pane, capiscono. Gli loro occhi accecati dai desideri personali, si aprono e allora vedono, incontrano, fanno proprio il pensiero e il sogno di Gesù. La tristezza e la delusione scompaiono, sostituite dalla forza e la determinazione a continuare e dare corpo alla loro mutata interiorità. Non è strano il loro ritorno a Gerusalemme tra gli altri discepoli, ancora presi dalla paura del carcere e della morte. Ecco allora la lezione del racconto della Trasfigurazione: il Vangelo rimane integro in eterno come rimane integro in eterno il volto di Gesù. La trasformazione è nello sguardo del credente, è nella capacità del credente di liberarsi da ogni pensiero capace di frenare o deviare o contraffare la visione autentica di Gesù. Non posso non riflettere su quanti hanno oggi la responsabilità della comunicazione e della trasmissione della Parola di Dio. Papa Francesco ha più volte indicato la migliore via per raccontare la vita di Gesù e non cedere ad alcuna mortificazione o trasformazione della stessa. Ognuno faccia propria la domanda di Gesù:" E tu, chi dici che io sia?" e dia continuamente la risposta, quella giusta, quella autentica, quella che scaturisce dopo aver lasciato la pianura e salito l'alto monte.    

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