Leone ai giovani: "Costruite un mondo più umano"
Intenso l'abbraccio a Tor Vergata tra il Papa e ragazzi e ragazze di tutto il mondo, chiara la lezione di "bellezza": "Cercate con passione la verità".
Tor Vergata. Di nuovo. Venticinque anni dopo. Eppure sembra ieri. O forse domani.
La terra è la stessa, ma il cielo sembra più vicino. Non un evento. Non una replica. Un'esplosione dolce di carne e spirito, di piedi scalzi sull'erba e cuori nudi alla luce. Qui, dove una volta c'era solo periferia e cemento, ora sbocciano tende, mani, sorrisi, e un milione di volti che cantano come se sapessero già la fine – eppure non vogliono che finisca.
Leone XIV arriva senza rumore, come il vento che ha spazzato via la calura, come il gesto di quel ragazzo che gli porge la croce: non una scena, ma una preghiera muta. Il Papa – bianco fra mille colori – la solleva. È un legno che pesa come il mondo. Eppure è leggero tra le sue dita. Si sale verso il palco, e nessuno fiata: non è commozione. È silenzio. Quello vero. Quello che solo chi ha molto dentro riesce a mantenere.
Sulle spalle, non più solo zaini e felpe, ma fratelli. In mezzo ai piedi, non fango: ma storia. Il millennio che ci portavamo appresso adesso ci viene incontro. E ci dice: "Eccomi, sono ancora qui. Nonostante tutto".
E Cristo è qui, scrivono ovunque. Ma non c'è bisogno di scriverlo. È nei cori che salgono all'unisono come un'unica lingua madre. È nei ragazzi coreani che si fanno chiamare per numero: "Siamo 1.078". Come se ciascuno contasse, fosse parte.
È nei visi di Maria e Pascale, nei loro nomi e nelle loro giovani vite spezzate che il Papa pronuncia piano, come se le chiamasse per mano. È nei droni che smettono di ronzare. Negli smartphone che, per un attimo, vanno a dormire. Perché qui non serve documentare. Serve guardare. Toccare. Stare.
Leone parla. Non legge, non predica. Respira e parla. Dice che Gesù è nei sogni. Nei sogni veri, non quelli patinati dai social. Dice che è radicalità – parola che oggi fa paura – e invece è la radice che tiene in piedi la pianta. Che è fedeltà, dono, resurrezione.
Dice che sì, anche se sei fragile, anche se non credi ancora, anche se sei solo venuto per curiosità, Cristo ti stava già aspettando.
E lo dice con quel tono di chi ha camminato nella polvere e ora cammina tra le stelle, ma senza montarsi il capo. Il Papa è stanco, ma pieno. Quasi settant'anni e ancora occhi che brillano. Forse è questo il segreto: avere un'età da padre e un cuore da fratello.
Poi cala la sera. Non quella dei telegiornali, ma quella vera: lenta, densa, addosso come un manto. Si accendono torce, si tirano fuori sacchi a pelo, si srotolano le canzoni e le risate. Sembra un festival. Ma non c'è palco. O meglio: il palco c'è, ma è diventato altare. È il momento dell'Adorazione. E qui si tace. Si tace davvero.
Un milione di ragazzi e nessuno parla. Nemmeno il cielo. Solo Frisina che sussurra "Anima Christi". Solo l'ostensorio che brilla. Solo un'eco di respiro, come se il mondo stesse trattenendo il fiato.
Questa è la Chiesa che non ti aspetti e invece ti sorprende. Non dogmi, non sermoni. Ma piedi scalzi e occhi spalancati. Non lezione, ma rivelazione.
È la bellezza, che c'è ancora. Che resiste. Che si fa carne in questi ragazzi pieni di vita e pieni di dubbi. Che si fanno carico del peso e della gioia, che si passano una t-shirt come un dono sacro, che si mettono uno sull'altro per vedere meglio, per toccare di più.
Tor Vergata non è solo una spianata. È un altrove. Un avamposto dell'eterno.
E mentre il Papa prega, mentre Roma s'illumina di piccole luci, mentre i giovani tacciono e cantano, capisci che forse – solo forse – la speranza non è una parola vuota. È una veglia. È una notte. È un milione di ragazzi che si prendono per mano sotto la croce.
E non si lasciano più.
