L'importanza di imparare il vocabolario: "Formare i formatori, tra Carta di Milano e ruolo dell'informazione".

29.07.2021
Di Redazione

Si è svolto nel pomeriggio di oggi, 29 luglio, a Campobasso un significativo momento di formazione con al centro la "Carta di Milano", il Protocollo deontologico per i giornalisti che trattano notizie concernenti carceri, persone in esecuzione penale, detenuti o ex detenuti. 

Ne è stata felice occasione la presentazione del libro di don Raffaele Grimaldi, ispettore generale dei cappellani delle carceri, dal titolo "La voce di Dio dietro le sbarre", un testo dedicato all'appassionante e difficile missione dei Cappellani nelle carceri e agli operatori penitenziari " tessitori di giustizia", cercando di rispondere alla domanda sul come contrastare la "Globalizzazione dell'indifferenza" affinché la cultura della vicinanza possa abbracciare ed includere la persona anche quando esce dal carcere.

E' intervenuto tra gli altri, - 11 i relatori al tavolo - il Presidente dell'Ordine dei Giornalisti prof. Enzo Cimino che nel suo intervento ha illustrato il percorso che l'Ordine sta facendo nel suo itinerario di formazione degli iscritti, sottolineando - non senza una punta di orgoglio - come l'OdG Molise sia il primo in Italia per numero di corsi proposti ed effettuati e crediti erogati.

L'intervento di don Raffaele Grimaldi
L'intervento di don Raffaele Grimaldi

E' stata posta l'attenzione sull'importanza di un "giornalismo di prossimità" che metta al centro il rispetto della persona, senza mai confonderla con il reato o con l'errore che ha commesso.  Richiamandosi ai dettati deontologici presenti nella Carta dei doveri del giornalista, con particolare riguardo al dovere fondamentale di rispettare la persona e la sua dignità e di non discriminare nessuno per razza, religione, sesso, condizioni fisiche e mentali e opinioni politiche, si è riaffermato il criterio deontologico fondamentale del "rispetto della verità sostanziale dei fatti osservati" contenuto nell'articolo 2 della legge istitutiva dell'Ordine nonché i principi fissati dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, dal Patto internazionale Onu sui diritti civili e politici e dalla Costituzione italiana e dalla legislazione europea.

Il direttore del carcere di Campobasso, D.ssa Antonella De Paola, nel suo intervento, ha messo in rilievo come la "comunità del carcere sia un prezioso tassello di un grande mosaico che è la società" e come per poter arrivare a questo, fondamentale sia il dialogo, l'accoglienza e il cammino condiviso con i detenuti. Concetto ribadito poi nell'intervento del magistrato di sorveglianza D.ssa Quaranta che ha evidenziato come la pena non possa e non debba essere meramente punitiva quanto piuttosto rieducativa e una concreta possibilità che uno stato democratico deve dare a se stesso, innanzitutto, e poi al condannato. Ne va della legittimità stessa della pena che è tale solo nella misura in cui sa essere rieducativa. Nel solco delle due relatrici si è mosso anche il dott. Francesco Maiorano, Comandante della Polizia Penitenziaria di Campobasso, che partendo dal racconto di quanto vissuto in carcere durante l'emergenza Covid nel soccorso ad un detenuto, si è chiesto perché tra le tante istantanee con cui è stato narrato il Covid non vi siano immagini dell'operato della Polizia Penitenziaria e perché di essa si parli - facendo un velato riferimento ai fatti di Santa Maria Capuavetere - solo quando si commettono errori. La risposta l'ha trovata e consegnata ai presenti attingendola direttamente dall'essere stesso del Corpo di Polizia Penitenziaria chiamata, senza orpelli e senza flash, a operare "in periferia" ma vicino all'uomo spogliato della sua dignità...rispondendo al suo mandato specifico di diffondere la speranza.

Il tema della rieducazione è stato al centro anche dell'intervento del Dott. Dino Petrella, direttore dell'area trattamentale il quale ha con forza invitato a comprendere che "rieducare" non significa cancellare delle cose per inserirne altre, quanto piuttosto rileggere la storia del condannato aiutandolo a rileggersi per darsi una speranza nuova. In questo percorso il carcere non ce la può fare da solo, ma ha bisogno del supporto convinto della società esterna nell'ottica dell'I-Care tanto caro a don Milani.

E' stata poi la volta del giornalista Pietro Eremita, che, dopo averne ripercorso il processo di nascita, ha presentato e approfondito la "Carta di Milano" mettendo in evidenza l'importanza del linguaggio, sottolineando come pur essendo consapevoli che il diritto all'informazione può incontrare limiti quando venga in conflitto con i diritti dei soggetti bisognosi di una tutela privilegiata, fermo restando il diritto di cronaca in ordine ai fatti e alle responsabilità, e comunque di fronte a eventi di rilevanza storica e sociale o in presenza di evidenti ragioni di interesse generale, non deve mai essere messa da parte l'importanza di osservare la massima attenzione nel trattamento delle notizie concernenti persone private della libertà, soprattutto in quella fase estremamente difficile e problematica del reinserimento nella società.

In particolare, ribadendo quanto già espresso dall'Ordine nazionale, ai giornalisti è raccomandato di tenere presente che il reinserimento sociale è un passaggio complesso che può avvenire a fine pena oppure gradualmente, che fondamentale è l'utilizzo di termini appropriati in tutti i casi in cui un detenuto usufruisce di misure alternative al carcere o di benefici penitenziari evitando di sollevare un ingiustificato allarme sociale e di rendere più difficile un percorso di reinserimento sociale che avviene sotto stretta sorveglianza, di non staccarsi mai dal dettato delle Leggi che disciplinano il procedimento penale come l'esecuzione della pena e in particolare di tutelare il condannato che sceglie di parlare con i giornalisti, non coinvolgendo inutilmente i suoi familiari, evitando di identificarlo solo con il reato commesso e valorizzando il percorso di reinserimento che sta compiendo. E... laddove si commettono errori... offrire pari spazio alla rettifica: da un titolo sbagliato può dipendere la vita e la dignità di una persona. Così come fondamentale è avere nella giusta considerazione il diritto all'oblio, tema sul quale è intervenuto nuovamente il Presidente Cimino per metterne in risalto l'importanza. 

Dopo l'intervento di Eremita, è intervenuto l'avv. Mariano Prencipe, presiedente della Camera Penale di Campobasso, che ha messo in evidenza l'urgenza di riformare il sistema carcerario a partire soprattutto dalle strutture, un problema annoso che si trascina da troppo tempo ed esasperato da quel famigerato sovraffollamento di cui tanto si parla e per cui si fa troppo poco. Nessun carcere - ha detto - potrà essere davvero riformato senza una vera rivoluzione sociale e culturale della società civile come dei media... e finché non sarà veramente compreso che la pena ha e deve avere un fondamentale fine rieducativo e mai di "vendetta". 

Toccante in conclusione anche la testimonianza di Mimmo, un ex detenuto, che ha dato concretezza alle tante cose ascoltate nei tanti interventi del pomeriggio. Ha chiesto a gran voce Mimmo a tutti i presenti, che quanto detto nel pomeriggio possa mutarsi in realtà. "Il carcere mi ha salvato la vita", così ha detto, "Non è un luogo di fine, di morte, di disperazione. Per me e per tanti altri il carcere è stato il tempo di riscoperta della vita, dono prezioso di Dio per cui vale la pena di fare tutto. Sono stato arrestato per omicidio, eppure grazie a quello che potrebbe sembrare un sistema fallimentare, io ho riscoperto la mia vita, quella che voglio vivere fino in fondo senza sprecare nemmeno più un secondo. Io l'amore l'ho incontrato, assaporato, vissuto e donato in carcere". 

Un pomeriggio di alto profilo che si incasella come tappa preziosa nell'itinerario di formazione cui ogni giornalista è chiamato.  

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