Lo stadio

21.05.2021

Il campo sportivo, come si chiamava una volta, era luogo allora di sereno e sano divertimento. Oggi un po' dovunque quel vecchio campo sportivo si chiama stadio e lo stadio è diventato una cosa troppo seria, talvolta non controllabile. La sensazione talvolta è che ciò che gira intorno allo stadio è cosa più importante dello stesso pallone che nello stadio pur continua a girare. Sembra infatti che nello stadio ormai si muova l'intera vita. Prendi la settimana, per esempio ... La settimana è strutturata intorno allo stadio ... Lunedì il posticipo; martedì, la coppa; mercoledì un'altra coppa; giovedì, un'altra coppa ancora; venerdì, l'anticipo; sabato, un altro anticipo, e domenica, tutto il cucuzzaro ..., a partire dall'ora di pranzo. Lo stadio dunque signoreggia. E nel suo manto erboso deciderà le prime e le ultime squadre; distinguerà le prime dalle seconde, ne promuoverà alcune, ne boccerà altre, sancirà chi merita l'anno venturo il paradiso, chi merita l'inferno; ed accoglierà (appena sarà nuovamente possibile) folle, bandiere, striscioni, slogans, entusiasmi, frustrazioni, espressioni di superiorità trionfante, voglia di rivincite, appuntamenti alla «prossima volta», elusioni, angosce, inquietudini, sconfitte, tradimenti veri o supposti, umiliazioni, invidia, gelosie, pensieri coatti, manie indotte e via dicendo. Non che tutto sia qui e solo questo. Vi sono anche, allo stadio, la passione per i colori della propria squadra e della propria città, il gusto del divertimento, il piacere di sentirsi vincenti, la gioia di ritrovarsi con gli amici e di esaltarsi nella vittoria, il piacere di temperare la sconfitta in loro compagnia, il gusto di lasciarsi andare a qualche urlo lungamente represso, la fantasia dei cori e dei dialetti, i bambini alle prese con le capacità mille volte sognate dei loro grandi campioni. E' che fra tante cose belle, oggi la delusione riempie lo stadio più del bisogno d'un sereno divertimento. La delusione, si sa, genera violenza e la violenza genera desiderio di vendetta. Né spiegare tutto questo è cosa facile. Per spiegare, bisognerebbe capire! E per capire, occorrerebbero degli esperti. Oggi, senza esperti, non si capisce nulla. E se non sei un esperto, non hai nessuna possibilità di parlare. Oggi, il dibattito è fra esperti qualunque cosa accada, e dopo l'emozione iniziale, qualunque cosa sia accaduta, è cosa demandata agli esperti. La nostra è la società del movimento e il movimento, che apprezza chi vince, non ha tempo per chi si ferma per strada ... Chi si ferma per strada non è che un incidente da rimuovere quanto prima, da accantonare, magari in qualche recondita piega della coscienza. Gli esperti, perciò, se non risolvono, almeno rimuovono. C'è per esempio una tragedia che agghiaccia il popolo intero. Tutto si paralizza nell'amarezza e nel pianto, ma per un attimo soltanto, perché - si dice - la vita continua. La vita continua, certo, e il calendario è già fissato! La verità è che questa vita che continua, sembra essere nulla più ormai che lo spazio annoiato fra due partite di qual cosa ... E si sa che la noia ... La noia, ha scritto qualcuno, fonda la delusione e decide la violenza. La noia intesa, naturalmente, come frutto dell'insanabile mortificazione della nostra più profonda identità. La società del benessere, in cambio del benessere, ha chiesto la frantumazione dell'identità. E l'identità, esteriormente frantumata, rivendica il suo diritto interiormente, come nostalgia ... Interiormente, ogni persona è ancora le sue radici, la sua casa, la sua appartenenza, il suo passato specifico, la sua piccola storia, le sue manie, il suo dialetto, la sua infanzia, gli amici dei piccoli giochi e delle piccole trovate. Tutto questo, che ogni persona è, se sonnecchia durante la settimana, si ridesta e si scatena nello stadio, all'atto della partita ... La maglia, allora, s'identifica con la nostalgia, con la torre, campanaria o civica che sia, e diventa un grido di battaglia ... Alé ... Le battaglie tra tifosi, urlate e combattute fisicamente, sono segno di profonda delusione, di una delusione che, nonostante la miriade di coreografie, non potrà essere sanata perché alligna altrove ... Viviamo un mondo deludente che non ci piace vivere ma che siamo condannati a vivere giorno per giorno tra disincanto e rimozione. Oggi, il lavoro ci porta in tutte le direzioni dell'Italia, dell'Europa e del mondo ... Siamo chiamati a mettere in crisi le nostre abitudini e ad incontrare le abitudini degli altri ... Stiamo seduti per ore ed ore di fronte alla scrivania di chi non abbiamo sopportato mai e che manderemmo volentieri al diavolo, benché ci asteniamo dal farlo perché non sappiamo se l'altro capirebbe. Oggi, tra il lunedì e il venerdì è un accumulo costante di umiliazioni e di silenzi, che ci rimandano al sabato e alla domenica, quando per due giorni, sia pure in modo irreale, torneremo ad essere semplicemente noi, col nostro piccolo mondo, con il sapore della nostra cucina, con le nostre piccole care cose, con gli amici di sempre, con l'illusione tragica che un ritorno all'indietro è nel cuore ancora possibile, mentre è irrimediabilmente perduto nella nostra vita concreta, nel nostro muto ragionamento ... Oggi, che l'immensità è a portata di mano, ma che metabolizzare non è per nulla facile, si sono allontanate per sempre da noi le piccole cose, i sapori e le abitudini ... E nasce la violenza. Nasce dal rifiuto inconscio di smarrirsi in questa immensità senza soggetti; dalla difesa del nostro mondo; dal bisogno di tutelare il nostro essere interiore, il nostro passato, la nostra acqua e il nostro pane, le nostre canzoni. Ed è una violenza ancora più dura proprio per questo, perché difende a spada tratta ciò che non può essere difeso, ciò che, ormai battuto, è destinato a starsene all'angolo per sempre ... In tal senso, occorrerebbe la riflessione, ma noi ci accontentiamo degli esperti, del gioco, dei giochi e degli stadi che saranno certo un'occasione del nostro vivere, ma che non ne sono né la condizione né, meno ancora, la ragione. 

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