Lucio Afeltra, il sovrapporsi di perimetri

13.06.2023

A margine della bellissima mostra "Residuo Greco" di Lucio Afeltra - conclusasi il 9 giugno scorso – ordinata da Massimo Bignardi a Palazzo Ricca, Fondazione Banco di Napoli, una breve testimonianza sulla storia artistica del Maestro salernitano.

di Rocco Zani

Solitamente accade – è accaduto – che un testo monografico, seppur breve, nasca da una conoscenza fatta di ascolto, di vociare, di sguardi o di frequentazioni accese. Gli studi degli artisti sono luoghi di memorie intime, di riepiloghi, spesso di scoperta più che di invenzione. Visitarli è una sorta di "pratica affettiva" esercitata – il più delle volte – in silenzio, col malcelato intento di essere viandante, più o meno consapevole, certamente curioso.

Di Lucio Afeltra non conosco le mura dello studio, i passi, l'altezza o l'aroma dei colori disseminati: il nero, la biacca, il cadmio della genesi. Ho incrociato le sue opere in un altrove contaminato da altre presenze, da altri battiti. E ne ho scoperto, credo, il rigore della presenza, ovvero quell'attitudine – sempre più rara – di restituire alla pittura quel ruolo di carteggio narrante, per troppo tempo sommerso da ben altri attraversamenti, da altri travestimenti. Non ho la presunzione di dettare sentenze o di suggerire intrecci – non ho la conoscenza per farlo in questo caso – eppure l'istinto maturato nell'ascolto e nello sguardo mi spinge a congetture finora poco esplorate, raramente percorse. Fornire una collocazione delle opere di Afeltra nel rassicurante scenario dell'Informale mi pare privarle di una più intima e singolare autonomia narrativa. Credo piuttosto – osservandole – che esse segnino i contorni, e l'anima, di un realismo sempre più marcato, aspro, emblematico.

Come in un processo di "svelamento" Lucio Afeltra rimuove le architetture del dire lasciando palesi gli schemi, i contrappesi, i vuoti e i dubbi. Fino a restituire il fondamento – ovvero la sostanza – archeologico dell'immagine. Una "umanità", quella affidata alla tela da Lucio Afeltra che sembra rimandare alle parole di Tahar Ben Jelloun che nella sua Creatura di sabbia la rivela come "un sovrapporsi continuo di perimetri" alla ricerca di una vera e propria demarcazione del proprio spazio, del proprio rifiato, della propria incontestabile presenza. ma Lucio Afeltra costruisce perimetri – soprattutto – capaci di alimentare un luogo della trasparenza, ovvero di una reale franchezza dove lo sguardo penetra rimuovendo vincoli o affanni, dove i segmenti di luce e di ombre sono destinazioni inconfutabili. Nella trasparenza tutto si fa più "accessibile" e raggiungibile come in una sorta di pratica della verità.

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