Mantova. Antonio Moresco scrive a Leopardi: un dialogo attraverso i secoli
di Mario Garofalo
Mantova, ore 15. Piazza Sordello è inondata di luce: il sole di settembre scalda le facciate rinascimentali e il via vai dei turisti si mescola con la folla dei lettori. Nella Tenda Sordello, allestita al centro della piazza come un rifugio per chi ama le parole, il pubblico si raccoglie in attesa. L'ingresso è libero, ma i posti a sedere sono già tutti occupati da minuti, segno che l'incontro non è uno dei tanti, ma uno di quelli che lasciano il segno. Antonio Moresco è il protagonista, e il titolo dell'evento, Scrivendo a Leopardi, già promette qualcosa di insolito: non una semplice conferenza, non una lettura critica, ma un vero e proprio dialogo con il poeta di Recanati, attraversando il tempo e lo spazio.
Quando Moresco sale sul palco, il brusio si spegne. C'è in lui un'energia calma ma vibrante, quella di uno scrittore che non si accontenta di parlare "di" Leopardi, ma vuole parlargli "a". Prende in mano il microfono, sorride appena, e inizia a leggere. Le prime parole che arrivano al pubblico non sono sue, ma del Passero solitario: "Che di quest'anni miei? Che di me stesso? / Ahi pentirommi, e spesso, / ma sconsolato, valgerommi indietro…" Versi che, pur scritti quasi due secoli fa, sembrano descrivere il nostro presente con un'accuratezza disarmante.
Poi la sua voce cambia tono: ora è Antonio Moresco che scrive, che si rivolge direttamente a Leopardi in una "Lettera d'amore" destinata a scuotere gli animi. "Caro Giacomo," comincia, e già nel modo in cui pronuncia il nome del poeta c'è tutta la tenerezza e l'urgenza di chi sente Leopardi non come una statua di marmo in una piazza, ma come un interlocutore vivo.
Le parole scorrono lente, misurate, ma piene di sentimento. Moresco immagina Leopardi tra noi, nel XXI secolo, alle prese con le stesse inquietudini di sempre: il dolore, la bellezza, il desiderio di senso. "Ti scrivo," dice, "perché sei stato e sei ancora lo scandalo della verità. Perché i tuoi occhi avrebbero visto le stesse ingiustizie, la stessa solitudine, la stessa bellezza struggente che ci circonda oggi." Il pubblico è rapito. Alcuni prendono appunti febbrilmente, altri ascoltano immobili, come se temessero di perdere una sillaba.
Non è una lezione accademica, né un'analisi letteraria. È piuttosto un atto di devozione, di dialogo intimo, che annulla la distanza tra i secoli. Moresco non cita Leopardi per esaltarlo o spiegarlo, ma per proseguire il discorso che il poeta aveva iniziato: un discorso che parla di dolore esistenziale, di lotta contro l'inerzia del mondo, ma anche di una bellezza che nasce proprio dalla consapevolezza di quel dolore. "Se tu fossi qui," sussurra lo scrittore, "non ti avrebbero capito, come non ti hanno capito allora. Ti avrebbero giudicato, ignorato, eppure ti avremmo amato. Ti amiamo ancora."
Il pubblico respira con lui, e si ha l'impressione di assistere a qualcosa di irripetibile. La Tenda Sordello, semplice struttura temporanea, diventa all'improvviso una sorta di cappella letteraria, dove il silenzio è denso e rispettoso. Qualcuno, nelle prime file, ha gli occhi lucidi.
Moresco chiude la lettera con un gesto semplice, riponendo i fogli come se custodissero un segreto prezioso. Poi si ferma e guarda il pubblico. Nessun discorso, nessuna retorica. Solo un ringraziamento sussurrato, che sembra quasi una liberazione. Gli applausi scrosciano lunghi e sinceri, e non sono applausi "di circostanza": sono il segno che quel dialogo immaginario tra due grandi menti – una del presente e una del passato – ha toccato corde profonde.
Fuori dalla tenda, Mantova è di nuovo una città viva, con le piazze piene di lettori, turisti, biciclette e caffè all'aperto. Ma chi ha partecipato a questo incontro si porta via qualcosa di diverso: non solo il ricordo di un grande scrittore che legge, ma l'esperienza di aver assistito a un incontro "impossibile" tra Antonio Moresco e Giacomo Leopardi, reso possibile dalla potenza della letteratura.
E mentre la piazza torna a riempirsi per gli eventi successivi, resta nell'aria una domanda sospesa, la stessa che Leopardi si poneva secoli fa: "Che sarà di noi, di questi anni nostri?". Domanda che oggi, dopo questo pomeriggio, suona ancora più necessaria.
