Mario Velocci, La collina sonora

17.05.2023

Inaugurata presso l'Antica Tenuta Palombo la raccolta di opere monumentali realizzate dall'artista

di Rocco Zani

Il luogo dapprima. Un crinale di confine che alleva venti battaglieri e di sberleffo, silenzi irrisolti, altipiani segreti. Terra di uomini – e di miti – guerrieri che fortificavano le proprie difese e le fatali disfatte. Terra di nebbia e talvolta di arsure, per quella geografia occasionale – di meridiani e rotte camuffate – che ne ha disegnato gli alvei e i pantani o la pietra che è argine di ginestre e di acque. Il luogo pertanto. Per comprendere l'inedito accadimento, le nuove trincee e l'ombra dei totem.

Non poteva non essere Mario Velocci a marcare – nella valle – una sorta di cortile irregolare e visionario che ha punti cardinali ben riconoscibili – al pari delle stelle – piantati nella brughiera o alle pareti di manufatti pietrosi. La "Collina Sonora" è un'idea remota, finanche bambinesca, che prende forma e respiro soltanto ora, nell'età matura di Velocci scultore. Quasi a redimere una disputa andata alla lunga per troppo tempo ovvero per restituire alla sua memoria l'indissolubile rapporto con la natura: che è stata madre e figliolanza, sollievo e lampo, affanno notturno, avamposto e brezza. E' il ritorno a casa con i bagagli dell'infanzia e dell'adolescenza, e poi, del tempo di mezzo. E allora questo luogo si fa "teatro del dire" lasciando crescere – tra dossi e rilievi – uno straordinario "orto metallico" che non occupa, non conquista metri, piuttosto è disseminato di sentinelle, di indizi, di scritture.

E' in effetti una scrittura quella reinventata da Mario Velocci, una sorta di stesura tribale mutuata da pochi ma imprescindibili caratteri che si fanno, via via, sequenza emancipata: la terra in primis, l'acciaio, il vento, il suono. La terra è il ventre – più o meno domestico – che impasta (e rimescola) gli aliti diffusi, gli occhi lasciati alle spalle, i rumori dell'ombra, quelli che danno afflizione o sconforto, talvolta sbalordimento. La terra è identità di ogni prospettiva e di ogni voce, immensa e minuscola nello stupore della sua continua redenzione. "Nascono fiori insoliti nel giardino di Mario" ebbi a scrivere qualche decennio fa, "E piante inconsuete. Non è così per l'agave grassa che svuota le stille della pietra e muore – mi dicono – al parto del fiore notturno. Non è così per il cespo di rosmarino grigio che fagocita gli odori periferici. Nascono fiori insoliti in quel giardino…". Quel rapporto non è mai declinato, piuttosto rinvigorito dalla saggezza del tempo.

L'acciaio è discendenza di mani sapienti. L'acciaio nelle sue dispute formali: la materia irruente ad arginare il vuoto o per grovigli e filamenti a ricucirne l'incertezza. Ma stupisce quella sorta di algoritmo astrale che riconduce ad un piano quasi identico – e comunitario - la straordinarietà del paesaggio preesistente all'innesto (così caro a Velocci) di una "flora" metallica; sia essa vitigno ferroso o mietitura di archi piegati, sia essa sequenza di parole accudite (i libri della conoscenza) nel peso di lastre inamovibili. Una semina di metallo brunito che si fa strada nelle campiture di fogliame verdastro, ai cigli di sentieri polverosi, a dettare lo spazio (la misura) tra il tiglio e il cipresso. In un paesaggio che si confonde, si alimenta, si de-forma come sostenuto dalla periodicità delle stagioni. E i caratteri della scrittura (quella cara a Velocci) sembrano adattarsi a quella terra di memorie; farsi fibre sottili o fortilizi levigati, ellissi, curve, portali sul tempo. Sopraffatti dalla luce o a questa donati per cromie di ruggine, d'argento, di vermiglio abbagliante, di nero bitumato.

Il vento è l'intruso benevolo: appare e svanisce come offerta di valore. Talvolta il suo percorso curioso ferisce l'angolo o la circonferenza del ferro: circonda, sussurra, insegue, desidera. E' in quel momento che tutto si compie e l'eco si fa tono bizzarro, poi suono.

Mario Velocci, La Collina Sonora - Antica Tenuta Palombo - Atina - Catalogo a cura della Fondazione Mastrantoni - Testi Stefano Bucci – Giorgio Verzotti - Immagini fotografiche Lidia Bagnara

Mario Velocci nasce il 1 dicembre 1949 a Ciavaito, frazione di Monte S. Giovanni Campano (Fr) da Elena Cervoni, contadina e Rosario Velocci, operaio. Si diploma presso l'Accademia di Belle Arti di Roma. Elena è stata la sua figura fondamentale. Fin da bambino lo indirizza verso la scultura dicendogli "tu hai le mani d'oro". La formazione e la ricerca di scultore si concretizza con il contatto continuo con la materia "terra". Tutto il suo lavoro di artista è legato allo Spazio – alla Linea – al Suono. Sposa l'artista Franca Battista, dalla loro unione nasce Martina Velocci "Sinfonia 1977". La sua scultura è la sua storia.

©Produzione riservata

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