Marsala, 11 maggio 1860: Impresa o Inganno?
di Mario Garofalo
In questi tempi difficili, la Storia sembra un campo minato, dove ogni passo rischia di farci inciampare. La Storia si celebra, si decorano i suoi eroi, e chi osa mettere in discussione le sue certezze rischia di essere bollato come un eretico. Eppure, proprio oggi, 11 maggio, sento che non posso evitare di pormi una domanda che potrebbe sembrare provocatoria: lo sbarco di Garibaldi a Marsala è stato davvero un atto eroico, un'impresa che ha cambiato il corso della nostra storia, oppure è stato il primo capitolo di una partita ben più complessa, giocata su tavoli diplomatici che ci sfuggivano?
Ogni anno, mentre ci ritroviamo a ripetere le stesse parole, a rivedere le stesse immagini, a ricordare i Mille, il Sud che accoglie, la Nazione che si risveglia, non posso fare a meno di chiedermi: siamo davvero sicuri che sia andata proprio così?
I documenti, le testimonianze dell'epoca, le stesse cronache che ci raccontano quell'evento, non sempre dipingono la stessa realtà che ci è stata consegnata. Le due navi inglesi, l'"Argus" e l'"Intrepid", non sono solo un dettaglio da aggiungere alla narrazione. Sono lì, in rada, ben prima che Garibaldi e i suoi sbarcatori mettano piede a Marsala. E non sono semplicemente spettatrici degli eventi. Le navi sono là, a proteggere, a sorvegliare, a fare in modo che non ci siano reazioni borboniche. Sarà solo una coincidenza, oppure dietro l'impresa dei Mille si nasconde una regia straniera, discreta ma potentemente presente?
E la marina borbonica, che doveva difendere il Regno delle Due Sicilie? Si muove con un ritardo che oggi ci appare sospetto, ma che all'epoca forse non destava troppe perplessità. Il comandante Acton arriva quando ormai tutto è già deciso e, su consiglio di un ufficiale inglese, si rifiuta di sparare, invocando una "cortesia internazionale". Ma che cortesia è mai questa, che permette a una potenza straniera di dirigere le operazioni militari di uno Stato sovrano?
Poi c'è la storia dell'accoglienza popolare. Tutti ricordano l'immagine di un Sud festante, pronto ad accogliere i liberatori a braccia aperte. Eppure, i resoconti dei garibaldini stessi – non dei loro nemici – parlano di un'accoglienza tutt'altro che calorosa, di un ostilità latente. Giuseppe Bandi scrive che furono accolti "come cani in chiesa". Da dove nasce, allora, questa immagine di un Sud che esulta? Chi l'ha costruita, e perché?
Non basta. Quando la Stromboli, con ritardo e senza forze, apre il fuoco, l'Inghilterra interviene ancora. Il comandante dell'"Argus" minaccia il governo borbonico con parole che fanno rabbrividire: "Se una cannonata danneggia le cantine vinicole britanniche, le conseguenze saranno gravissime." Le cantine vinicole. In quel preciso momento, con il destino di un intero regno in bilico, la priorità sembra essere la protezione degli interessi britannici.
Non ho certezze, ma le domande sono tante. E come storico, come cittadino, è mio dovere porle. Se davvero vogliamo costruire una memoria solida, non possiamo accontentarci di racconti facili. Dobbiamo affrontare le ambiguità, le ombre, quelle verità scomode che spesso preferiamo ignorare. È così impensabile chiedersi se l'impresa di Marsala non fosse altro che una manovra politica, abilmente mascherata, o addirittura patrocinata da potenze straniere?
Garibaldi, senza dubbio, è una figura fondamentale nella nostra storia. Ma l'impresa dei Mille è davvero un evento che comprendiamo a fondo, o continuiamo a vederlo solo attraverso la lente dell'epica, evitando di guardare le sue pieghe più oscure, quelle meno gloriose?
Ai lettori, dunque, pongo un'ultima domanda: siamo pronti a dar vita a questo dibattito? A rileggere la nostra storia con occhi liberi, senza paura di rompere il mito che ci è stato trasmesso? O preferiamo continuare a inchinarci a una narrazione che, forse, oggi avrebbe bisogno di essere messa in discussione?
Scrivetemi. Fatemi sapere cosa ne pensate. Perché la Storia non si celebra passivamente: va discussa, interrogata, messa in crisi. Solo così resterà viva. E solo così, forse, potremo davvero crescere come Nazione.
