Mauthausen. Un viaggio nel cuore della storia con i ragazzi del Savoia Benincasa di Ancona

10.04.2025

di Paolo Scarabeo

Un viaggio nel cuore della storia e della coscienza collettiva: è quello che hanno compiuto gli studenti delle classi del quarto anno dell'Istituto Savoia Benincasa di Ancona, visitando il Campo di Concentramento di Mauthausen, in Austria. Un'esperienza intensa, carica di emozione e consapevolezza, che ha lasciato un segno profondo nei ragazzi e nei docenti accompagnatori.

Una mattinata nella quale sono tornate forti alla mente, impietose, le parole di Primo Levi, tante volte studiate tra i banchi, scuola:

Considerate se questo è un uomo
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per mezzo pane
Che muore per un sì o per un no».

L'8 Agosto 1938, cinque mesi dopo la cosiddetta "annessione" ("Anschluss") dell'Austria al Reich, arrivarono a Mauthausen i primi prigionieri provenienti dal Campo di concentramento di Dachau. La ragione decisiva della scelta di costruire il Lager in quel luogo fu la stessa che indusse successivamente alla costruzione del vicino sotto-Campo di Gusen nel 1940: la presenza di cave di granito. Inizialmente i prigionieri furono impiegati nell'edificazione stessa del Lager e nel lavoro forzato presso la "Deutsche Erd-und Steinwerke GmbH", una ditta di proprietà delle SS che produceva materiale da impiegare per la costruzione degli edifici monumentali e di prestigio della Germania nazista.

Il campo di Mauthausen, uno dei principali Lager nazisti, fu attivo dal 1938 al 1945 e rappresenta ancora oggi uno dei simboli più forti della barbarie del regime nazista. Qui furono internati oltre 190.000 prigionieri provenienti da tutta Europa, di cui almeno 90.000 persero la vita a causa delle condizioni disumane, dei lavori forzati, della fame, delle esecuzioni sommarie. Migliaia di prigionieri furono fucilati, o uccisi con iniezioni letali, altri fatti morire di botte, altri ancora di freddo, altri venivano obbligati a spingersi nel vuoto della cava. Almeno 10.200 prigionieri furono assassinati per asfissia, la maggior parte di essi nella Camera a gas nel Campo centrale. Il maggior numero dei prigionieri del Lager però, non sopravvisse allo sfruttamento spietato della manodopera, accompagnato da maltrattamenti, denutrizione, mancanza di vestiti adeguati e di cure mediche. 

Fino al 1943, la funzione prevalente del Lager fu la persecuzione e la reclusione definitiva degli oppositori politici ed ideologici, fossero essi realmente tali o anche solo presunti. Per un certo tempo Mauthausen e Gusen furono gli unici Lager classificati di Categoria Ill, presi per "detenuti difficili da recuperare", il che significava che in quei luoghi le condizioni di reclusione erano durissime. La Mortalità era fra le più alte tra tutti i Lager del sistema concentrazionario nazista. Dal maggio del 1944 arrivò anche un gran numero di ebrei ungheresi e polacchi; per loro, le possibilità di sopravvivere erano le più scarse.

Gli studenti, guidati da esperti e accompagnati dai loro insegnanti, hanno potuto visitare i luoghi simbolo del campo: le baracche dei prigionieri, la famigerata "scala della morte" scavata nella cava di pietra, le camere a gas, il forno crematorio, il carcere. Ogni angolo del campo racconta una storia, ogni muro è intriso di sofferenza. Le foto e le targhe, poste a memoria delle tante vittime di quello che è stato il momento più buio della storia, parlano ancora. L'intero percorso si è trasformato in una lezione di storia vissuta, ma anche di civiltà, diritti e rispetto dell'altro.

La visita si è inserita all'interno di un più ampio progetto di educazione alla memoria, che l'Istituto Savoia Benincasa porta avanti con grande impegno.

Profonda è stata la riflessione degli studenti durante la visita. Molti hanno espresso emozioni forti, tra sgomento, tristezza e incredulità, ma anche un senso di responsabilità verso il futuro. Le lacrime sul volto di tanti di loro, uscendo dalle camere a gas, davanti al forno crematorio, nella stanza delle docce... significano molto, significa che la memoria non è perduta, che c'è ancora speranza. "Ciò che maggiormente mi sgomenta – ha detto una studentessa – è la chiara evidenza che da questa lezione non abbiamo imparato abbastanza. L'odio, le parole, il disprezzo, la violenza che si sono consumati entro questo filo spinato, sono gli stessi, con sfaccettature diverse, che si ripetono ancora oggi. Non possiamo cambiare il passato ma possiamo imparare da esso per costruire un presente migliore e un futuro in cui l'odio e la discriminazione non trovino più spazio".

"C'è stata una parola – ha continuato un suo compagno – che mi ha colpito molto nel racconto della guida, ed è "normalità". Sì, qui l'odio era vissuto con normalità. Tutto questo, la morte di decine di migliaia di uomini e donne, le atrocità più assurde, sono state vissute come "normalità". Chi "lavorava" qui, lo faceva come un "lavoro normale". Tutto questo si è consumato a pochi kilometri dalla città, quasi nel cuore di una Società assopita, accecata. Mi spaventa perché oggi l'odio, l'indifferenza, il razzismo stanno tornando a essere la "normalità". Ed è davvero brutto".

Un'esperienza come questa va ben oltre i confini della didattica tradizionale: diventa un insegnamento di vita. Perché la memoria non è solo ricordare, ma è soprattutto comprendere, interrogarsi e agire. E i ragazzi del Savoia Benincasa hanno saputo farlo con profondo rispetto e maturità.

In un tempo in cui i testimoni diretti della Shoah stanno lentamente scomparendo, iniziative come questa diventano fondamentali per mantenere viva la memoria e trasmettere alle nuove generazioni i valori della dignità umana, del rispetto, della libertà e della democrazia.

Domani, nel loro presente, toccherà a loro far sì che tutto quello che hanno visto dietro il filo spinato, e quello che ancora oggi vedono accadere, non succeda mai più!

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