Metafisica è esistenza: trovare sé stessi significa collocarsi nel reale

21.05.2021

di Giammarco Rossi

L'essere si determina innanzitutto nella sostanza perché l'essere è sostanza. Una delle ansie più frequenti dell'individuo contemporaneo è quella di perdere il ricordo di qualcuno, o che qualcuno a lungo andare possa perdere il nostro: è un dato di fatto, avviene ed avverrà sempre. Ciò detto, le alternative sarebbero due: dedicare anima e corpo all'epicureismo più puro, prendere per mano Lucrezio e lasciarsi trasportare in una realtà in cui il reale è tale finché abbiamo la concezione di esso e la consapevolezza della sua influenza nelle nostre vite: chi muore è come se non fosse mai nato, se non ho più memoria di un individuo scomparso per la mia mente quella vita non è mai esistita. Oppure, sposare la causa più convenzionale ma non per questo la più facile, anzi tutt'altro, del credere. Interrogarsi costantemente sulle cause prime della realtà, dubitare incessantemente per cercare di collocarsi in quel limbo dove tutto è iniziato. Sono un essere vivente, sono stato creato, quando il mio ciclo vitale giungerà al termine tornerò in quello spazio metafisico da cui sono venuto. La seconda scelta è quella più comune, o perlomeno è quella che nel corso del tempo ha avuto più successo. Il perché è abbastanza semplice ed intuitivo: soltanto quando ci si avvicina alla fine del proprio ciclo ci si interroga sull'oltre, passando dall'età del sarò a quella del dove andrò?

Tuttavia collocarsi in una dimensione, reale o astratta che sia, significa esistere. Lasciare un segno all'interno dell'esistenza è un cruccio molto caro all'individuo, i libri di storia ne sono pieni, la storia allora è spietata, poiché rivolge la sua attenzione solo a quelli che hanno vissuto, tutti gli altri invece si sono limitati ad esistere. Vivere una vita ordinaria, pagando un mutuo, sposandosi, mandando i figli a scuola, ammalarsi, invecchiare e poi morire in solitudine non è una prospettiva allettante, eppure è la più comune; si può forse dire che tutti questi individui siano esistiti senza aver vissuto? No, non si può e nemmeno si può affermare il contrario. Ogni esistenza gode di una soggettività atavica e protettrice che veglia sul complicato ciclo cronologico. Acquisire consapevolezza della propria funzione all'interno di un ingranaggio sgangherato come quello dell'esistenza, significa annullare il concetto di morte. D'altronde cos'è la morte se non l'abbandono del corpo-gabbia dell'animo? E l'animo rifugiatosi poi in un'altra realtà non vivrà perennemente in una nuova gabbia?

Stabilizzare la propria esistenza con il proprio io è la cura per diventare invincibili: l'essere che conosce la propria dimensione nello spazio è l'essere che ha trovato la libertà, che ha trovato la chiave segreta. Venga poi definita in mille modi diversi da mille diverse discipline: trovare e conoscere sé stessi è l'attività più complicata che la mente umana possa esercitare, non a caso il premio finale è quasi inarrivabile, perché ci sono esistenze che passano il proprio ciclo ad interrogarsi sulla loro funzione (perché una funzione, anche la più insignificante c'è sempre); ed altre invece, circondate dalle futilità dei momenti, s'abbandonano alla frivolezza materiale con cui riempiono la propria vita. Non si tratta di prendere posizione, si tratta di scegliere, perché ogni condizione è vincolata ad una scelta che l'individuo, anche se inconsapevole, ha fatto. Aut-aut dunque, le conseguenze lasciamole a chi ne avrà memoria.

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