"Napoli si è ripresa il trono. Questo Scudetto è un atto di restituzione storica"

24.05.2025

di Mario Garofalo

Ieri Napoli ha vinto lo Scudetto. E con questa vittoria, apparentemente sportiva, si è consumato un atto ben più profondo, radicale, irreversibile: Napoli si è ripresa ciò che le è sempre appartenuto. Non un trofeo. Non un applauso. Non una copertina. Ma la sua dignità storica. Il suo ruolo naturale di capitale morale, culturale, simbolica di un Sud che per troppo tempo è stato piegato, colonizzato, svuotato.

Non c'è nulla di retorico in queste parole. Chi conosce la storia d'Italia senza i filtri dei vincitori, lo sa bene: il Sud non è mai stato "arretrato". È stato reso tale. Prima invaso, poi impoverito. Prima umiliato, poi ridicolizzato. Ridotto a questione, a problema, a peso morto di un Paese che si è costruito l'unità sopra uno squilibrio, mai davvero risolto. Napoli, cuore pulsante del Mezzogiorno, è stata trasformata da capitale di civiltà e innovazione in simbolo di inefficienza e folklore. E il calcio, come ogni fenomeno popolare, ha riflettuto tutto questo.

Fino a ieri.

Ieri, Napoli ha smesso di chiedere. Ha smesso di aspettare. Ha smesso di sopportare. È salita sul campo della storia e si è ripresa il centro. Lo ha fatto con la testa, con il cuore, con il sangue. Con la forza antica di chi porta il peso di secoli sulle spalle e, nonostante tutto, cammina ancora.

Questo Scudetto non è solo la vittoria di una squadra: è la riaffermazione di una civiltà. Di un popolo che ha attraversato terremoti, esodi, silenzi, eppure ha mantenuto intatta la sua fierezza. È l'urlo potente di una città che non ha bisogno di elemosine, ma di riconoscimento. Non pretende vendetta, ma memoria.

Chi ha scritto per anni la narrativa del Sud in ginocchio, del Sud che "non ce la fa", del Sud che deve solo tacere e ringraziare, oggi è costretto a riscrivere i propri copioni. Perché la realtà si è imposta con tutta la sua maestà. E ha un nome chiaro: Napoli.

Napoli ha dimostrato che si può eccellere senza appoggi. Che si può vincere con il lavoro, la visione, l'organizzazione. Ha mostrato all'Italia intera che il Sud non è soltanto una zavorra, ma può essere – è – un modello. Non di ricchezza ostentata, ma di resistenza colta. Di intelligenza non urlata. Di umanità che non si piega.

E non si cada nell'errore di ridurre tutto a una bella favola calcistica. Questo non è folklore. È una lezione. È la storia che torna a bussare alla porta del presente. È la geografia del potere che si incrina. È l'equilibrio narrativo che finalmente vacilla.

Io ieri non ho visto solo un trofeo.
Ho visto la mia città rientrare dalla finestra della storia, da cui era stata cacciata senza mai essere ascoltata.
Ho visto il Sud smettere di sognare la salvezza e cominciare a esercitare il potere della memoria.

Questo Scudetto è un titolo che brucia nelle mani di chi lo ha sempre negato, perché non si può derubricare a sport ciò che è, di fatto, una rivendicazione civile.

Oggi Napoli non festeggia. Oggi Napoli reclama.
Reclama la sua centralità.
La sua cultura.
La sua storia.
E, soprattutto, la sua dignità.

E lo fa senza alzare la voce.
Lo fa con la forza elegante di chi ha già vinto.

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