Nel cuore dell’antica Aesernia: una giornata tra storia e sapori

26.04.2025

di Mario Garofalo

Ci sono viaggi che ti sorprendono anche quando pensi di sapere già tutto. Hai letto articoli, salvato post su Instagram, studiato mappe… eppure arrivi lì e ti accorgi che nulla ti aveva davvero preparato. Isernia è così: non si fa scoprire con un clic, ma passo dopo passo. È una città che si racconta in silenzio, tra vicoli antichi e pietre che sembrano avere una memoria tutta loro.

Oggi ho vissuto una giornata intensa, guidato da due persone speciali: Andrea Zullo, storico, e Marina Lucarino, archeologa. Due voci appassionate che hanno saputo trasformare un semplice itinerario in un vero viaggio nel tempo.

Siamo partiti da Piazza San Pietro Celestino V, nel cuore del centro storico. Erano le dieci del mattino, l'aria fresca e l'odore del caffè si mescolavano a quello della pietra bagnata. Isernia si è aperta davanti a noi come una pergamena: vicoli stretti, case in pietra, ciottoli lucidi… tutto sembrava raccontare qualcosa.

Andrea ci ha accolti con un tono calmo, quasi affettuoso. Mentre camminavamo, ci ha svelato la storia di Aesernia, colonia latina dal 263 a.C., un avamposto romano nel cuore del Sannio. Le sue parole erano precise, ma mai fredde. Davanti alle mura megalitiche ancora visibili, ho allungato la mano e ho toccato la storia. Sì, l'ho toccata davvero. Pietre enormi, incastrate perfettamente, che hanno attraversato secoli di guerre, terremoti e silenzi.

Poi è arrivata Marina. Energica, coinvolgente, capace di farti vedere le cose anche quando sono solo rovine. Ci ha portato nell'area dei templi romani. Il cuore? Il Tempio A: un podio imponente, colonne spezzate, dettagli che parlano di grandezza. "Forse era dedicato a Ercole," ci ha detto. "Ma più che il nome, qui si sente il senso del sacro." E aveva ragione. In quel silenzio, rotto solo dal vento, sembrava di camminare accanto agli antichi. Un brivido, ma di quelli belli.

E poi, la meraviglia nascosta: il criptoportico. Un corridoio sotterraneo, fresco e misterioso, dove la luce arriva appena. Un'opera ingegneristica straordinaria, costruita con una precisione che fa quasi rabbia da quanto è perfetta. Marina e Andrea ci hanno raccontato che serviva per la difesa, lo stoccaggio, ma anche come luogo di incontro. Mi sono ritrovato con il naso all'insù, incantato da quelle volte che sembrano sfidare il tempo.

Dopo tante emozioni, ci voleva una sosta. E così siamo finiti all'Osteria "Da Patraterne". Un posto semplice, accogliente, con pareti piene di storie: pentole di rame, bottiglie antiche, profumi familiari. Ho preso un piatto di sagna e fagioli, una pasta fatta in casa che sapeva di tradizione. Poi carne arrosto, tenera, succosa, accompagnata da un bicchiere di rosso locale: corposo, sincero, come la gente da queste parti.

Nel pomeriggio, la luce si è fatta dorata e i resti romani hanno cambiato faccia. Sembravano risvegliarsi, diventare più vivi. Andrea e Marina ci hanno salutato con un sorriso, promettendo altri racconti, altre passeggiate.

Domani tornerò a Mantova, ma sento che da Isernia non me ne andrò davvero. Porterò con me molto più di qualche foto: porterò la sensazione di aver toccato il tempo con mano. Tra una pietra antica e un piatto fumante, ho ritrovato un legame con qualcosa di più profondo.

Quella di oggi non è stata solo una visita archeologica. È stato un incontro vero con l'anima di una città che non ha bisogno di effetti speciali. Isernia ti parla piano, ma se la ascolti, ti resta dentro. Nei suoi silenzi, nei suoi vicoli, nei suoi sapori.

Se cercate un'esperienza autentica, che vi sorprenda senza clamore, segnatevi Isernia. Non è solo storia. È vita. È emozione. È uno di quei viaggi che continuano anche dopo che sei tornato a casa.

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