Non è più guerra. È genocidio. E il mondo guarda altrove.
di Paolo Scarabeo
Ci sono numeri che non lasciano spazio alla retorica. Oltre 70.000 morti secondo stime non ufficiali ma credibili, raccolte da fonti sanitarie locali e ONG presenti sul campo. 18.000 bambini uccisi, come riportato da Save the Children, che denuncia: "Un'intera generazione è stata cancellata".
Case sventrate. Scuole polverizzate. Ospedali annientati – di cui almeno 24 completamente distrutti secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità. Ambulanze colpite, tende di emergenza bombardate, operatori sanitari morti sotto il fuoco.
Nel frattempo, navi umanitarie vengono bloccate, sequestrate in alto mare. In queste ore, la nave Freedom Flotilla diretta verso Gaza con aiuti medici e alimentari è stata abbordata in acque internazionali dalla marina israeliana. L'equipaggio – composto da attivisti, medici, osservatori internazionali – è stato arrestato e trattenuto.
Non si stanno colpendo terroristi. Si sta distruggendo una popolazione. E mentre le bombe cadono, il mondo democratico – quello che si riempie la bocca di libertà, diritti umani, giustizia – si gira dall'altra parte.
L'America, paladina dell'ordine globale, mette il veto all'ennesima risoluzione ONU per un cessate il fuoco. L'Europa, vile, piegata, non dice una parola. L'Italia, umiliata e prona, arriva a sequestrare le bandiere della Palestina, a schedare chi le espone, come se il dissenso fosse una colpa, la solidarietà un crimine.
Gaza non è più solo un ghetto: è diventata un campo di sterminio.
Lo dice il relatore ONU Francesca Albanese, che nel suo rapporto del marzo 2024 parla esplicitamente di "atti qualificabili come genocidio in base alla Convenzione del 1948". Ma il mondo ignora, e chi osa denunciare viene etichettato, marginalizzato, censurato.
Eppure, qualcuno inizia a dire basta. Le Regioni italiane Puglia, Emilia-Romagna e Toscana hanno interrotto i rapporti istituzionali con Israele, in segno di protesta contro l'escalation militare e la sistematica violazione dei diritti umani.
Un gesto simbolico, sì. Ma il simbolo oggi è resistenza, è presa di posizione netta contro la neutralità pavida. Perché non è più tempo di parole misurate. Non è più tempo di diplomazia. È tempo di guardare in faccia l'orrore e chiamarlo per quello che è: genocidio.
Il 27 gennaio, in tanti parleranno di Shoah, pronunceranno "Mai più" con gli occhi lucidi. Ma è già "di nuovo". Sta accadendo adesso. E siamo tutti complici. Chi tace, chi giustifica, chi minimizza, sta facendo da scudo a un crimine contro l'umanità.
E se c'è ancora un briciolo di dignità civile in questo Paese, allora è il momento di alzare la voce, rompere il silenzio, schierarsi apertamente dalla parte delle vittime.
E chi tace, oggi, si rende complice. Chi minimizza, è parte del massacro. Chi invoca prudenza diplomatica, è già sulla sponda sbagliata della storia.
Il nostro giornale ha esposto la bandiera della Palestina. E continueremo a farlo. Ma ora serve molto di più: serve verità, serve coraggio, serve la volontà di guardare in faccia l'orrore e chiamarlo con il suo nome.
Genocidio!
E se non hai paura di dirlo, allora vuol dire che sei ancora umano.
