Perché la ragione non può fare a meno della fede.

15.04.2021

Gli ultimi eventi storici hanno fornito giuste stimolazioni perché la ragione umana avesse più facile accesso a Dio e all'uomo. I risultati sono notevoli. Una vera rivoluzione abbiamo riscontrato nella conseguita consapevolezza, da parte della ragione, delle proprie risorse e delle proprie funzioni. Proviamo a ridisegnare il percorso effettuato e l'esito raggiunto, attraverso le argomentazioni più significative. La premessa, che appare oggi più ricca di significato, è questa: l'uomo si distingue per il possesso e l'uso della ragione

La ragione ha infinite e illimitate funzioni: è pensare, è ricordare, è riflettere, è progettare, è soffrire, è credere, è sperare, è attendere, è gioire, è contemplare. Nella complessità e nella varietà delle sue funzioni, la ragione ha una costante metodologia di azione: comporre le nozioni sensibili creando strutture logiche progressivamente più ampie e aggreganti rispetto ai vissuti posseduti e predisponendo ogni conquista ad ulteriori progressive composizioni. Quello della ragione è un cammino che va dal particolare all'universale, dalla singolarità alla generalità e alla unitarietà, dalla opinione alla verità che è oggettiva ed eterna. La ragione è sempre strumento di unificazione, di avvicinamento, di lettura unitaria, di formulazione di stili di vita eticamente aggreganti. Le operazioni mentali non finalizzate alla composizione delle esperienze sensoriali ed intellettive, non sono operazioni della ragione, perché restano imprigionate nelle trame dei sensi. I compiti della ragione sono straordinari. Quando, tramite i sensi esterni ed interni, la nozione si presenta al tribunale della ragione e chiede di essere accolta mostrando le proprie credenziali, mette in moto le attività mentali che sovrintendono alla deliberazione del rifiuto o dell'accoglimento della stessa nozione. 

Se la ragione ne rileva delle qualità utili al rafforzamento o alla creazione di composizioni logiche aggreganti e unificanti, allora la nozione è accolta e va ad occupare un posto di rilievo nel comparto conoscitivo specifico, se invece la nozione si presenta latrice di settorialità e di particolarità, allora viene espulsa dalla ragione. L'operazione mentale ha più di una fase. La decisione di accoglimento o di rifiuto, che può essere di parziale accoglimento o di parziale rifiuto, consegue ad un lavoro di discernimento alquanto complesso, fatto di analisi, di confronto, di comparazione, di analogia, di riflessione. 

La prima fase è di approccio e di comprensione progressiva del contenuto della nozione e questo avviene attraverso la rivisitazione di quanto posseduto e già consolidato, avviene attraverso la ricerca dei possessi conoscitivi e dei codici linguistici in riferimento al nuovo. Spesso la nozione si presenta con credenziali di validità oggettiva, come la paternità riconosciuta, come la considerazione positiva della comunità. In questo caso la ragione riflette sulla dicotomia individualità-collettività, particolarità-universalità, e non può non cedere al valore compositivo ed unitario della nozione nuova. Dopo l'approccio alla nozione, la mente è portata ad una operazione di apertura al nuovo, di apertura che coinvolge l'intero mondo interiore. Aprirsi al nuovo vuol dire predisporsi alla creatività, possibile solo attraverso il superamento dei limiti temporanei della ragione. Aprirsi al nuovo è riprogettare, riattendere, ricominciare. Ogni atto pensante, scrive Giovanni Paolo II, si caratterizza per l'apertura alla trascendenza: l'eterno ritorno al proprio passato è monco senza l'ottica del futuro, senza l'ottica dell'infinito, senza l'ottica della speranza e della composizione universale. La ragione, per attuare il compito che le è proprio, ha bisogno della fede perché il mondo della unitarietà, della universalità e dell'infinito, se privo di fondamenti metafisici, se privo del principio che legittima la realtà del mondo sovrasensibile, se privo della virtù della fede, è vuoto e non ha alcun rilievo nel cammino di vita del soggetto. La ragione necessariamente incontra Dio nell'esercizio delle proprie funzioni. 

L'incontro non è un opzional che scaturisce da premesse sociali o antropologiche, non è il frutto di elucubrazioni volontaristiche o individualistiche. L'incontro con la metafisica, l'incontro con la fede e il personale incontro con Dio, derivano non da particolari intuizioni o da costruzioni immaginifiche bensì dall'esercizio proprio della ragione che non si sottrae al bisogno di realizzare pienamente se stessa, superando le proprie limitazioni compositive e a proiettandosi verso la verità. La fede è una virtù della mente umana, quella che permette la comprensione di Dio e permette la comprensione della vita umana secondo l'ottica di Dio. I grandi interrogativi della ragione non sono epidermici ma esprimono bisogni che nascono e vivono nella profondità culturale e spirituale dell'uomo. 

La ragione senza i saperi della fede, senza la tensione verso i valori universali, senza la virtù della speranza, priva dei significati autentici di pace, di giustizia, di fratellanza, di accoglienza, di dignità della persona, propri dell'insegnamento di Gesù, priva del bisogno di Dio, è destinata all'abbattimento e alla morte. E' strano che in nome della libertà delle attività razionali, tanti cultori del nulla hanno sostenuto la necessità di un divorzio della ragione dalla fede. All'interno di coordinate logiche assurde, gli stessi pensano che la ragione possa rinvigorirsi attraverso il proprio depauperamento. I materialisti classici e moderni, gli empiristi, gli storicisti, gli esistenzialisti, gli atei, fanno parte di un unico calderone, quello dei distruttori della ragione, prima che dell'azzeramento della potenza e della maestà di Dio. La morte di Dio annunciata dal pastore di Nietzsche, presuppone e costituisce la morte della ragione.

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