Piani d’intervento regionali per l’integrazione dei cittadini di paesi terzi. Concluso il Progetto REDI

20.12.2022

Si è celebrato ieri presso la Sala Parlamentino dell'Assessorato alle Politiche Sociali della Regione Molise a Campobasso l'evento finale del progetto REDI - Respect, Equality, Diversity, Inclusion - Piani d'intervento regionali per l'integrazione dei cittadini di paesi terzi - FAMI - IMPACT - prog-2465.

Rispetto, uguaglianza, diversità e inclusione sono stati i pilastri del progetto REDI portato avanti dall'azione coordinata dalla Regione Molise con le associazioni partner ARES, Dalla Parte degli Ultimi, CPIA di Campobasso da ottobre del 2018 fino ad oggi.

Il progetto era finalizzato all'elaborazione di interventi ed azioni specifiche per l'integrazione sociale, lavorativa e scolastica degli stranieri con il coinvolgimento di soggetti pubblici e privati a livello locale per la costituzione di una rete collaborativa.

"Sono lieta - ha detto l'Assessore Regionale Filomena Calenda - di partecipare ad un evento di tale portata che permette un confronto diretto, attento e certamente proficuo su una tematica importante come quella dell'accoglienza e dell'inclusione dei cittadini migranti.

E credo di non dire nulla di nuovo nell'affermare anche oggi - in questa circostanza che racconta di progetti e pianti di intervento in tal senso - che una delle sfide principali legata all'inclusione socio lavorativa dei migranti consiste proprio nel sostenere l'integrazione all'interno del Paese che li accoglie, facendo sì che il capitale umano che essi portano dai paesi di origine diventi parte integrante e produttiva delle comunità che li ospitano.

E' ovvio - ha continuato - che conseguire questo traguardo significa di conseguenza garantire non solo il benessere dei migranti ma anche quello delle economie e delle società in cui essi vivono grazie alle competenze diversificate con cui possono contribuire allo sviluppo socio economico e al potenziale per mitigare l'impatto dell'invecchiamento e della diminuzione della popolazione.

Le comunità locali giocano un ruolo di primo piano nell'accoglienza del migrante. In Italia sono ancora pochi i casi di esperienze virtuose capaci di supplire a quello che purtroppo è ancora uno scenario desolante. Perché se nelle regioni del Sud insistono meccanismi di sfruttamento e caporalato, cosa diversa non accade nei grandi agglomerati urbani, leggevo, qualche tempo fa, un report di Medici Senza Frontiere: 10mila migranti in tutta Italia vivono all'aperto, in palazzi occupati o baraccopoli. Roma accoglie due mila migranti in meno rispetto al numero previsto dall'accordo Stato-regioni, spingendo così i richiedenti verso insediamenti informali.

E deduco, pertanto, che sia palese la mancanza di una seria riflessione sulle modalità d'integrazione degli immigrati.

Principi comuni sull'Integrazione dell'Unione Europea definiscono il lavoro come un "fattore chiave nel processo d'integrazione". In fatto di impiego, gli stereotipi fanno presto il conto con la realtà: pur essendo coinvolti nei settori più colpiti dalla crisi economica, i tassi d'occupazione degli immigrati sono simili, e in alcune regioni addirittura maggiori, di quelli dei cittadini italiani. Lo straniero è, però, allo stesso tempo soggetto a meccanismi di sovra-qualificazione (tendendo ad occupare posizioni più basse di quanto non farebbe nel paese d'origine) e sotto-retribuzione, competendo "al ribasso" per impieghi a basso guadagno, poco qualificati e tanto meno gratificanti".

Interventi in questo senso, che partano da una decontaminazione - e mi piace utilizzare questo termine - di quell'atteggiamento culturale di diffidenza, ostilità, pregiudizio. Ecco. Iniziamo da qui.

Da ultimo, ma non ultimo, mi piace sottolineare che l'importante partita dell'integrazione si gioca anche tra i banchi di scuola. Secondo il rapporto MIPEX, l'Italia è ancora oggi fanalino di coda nelle politiche educative in Europa, mettendo in chiaro quanto gli studenti stranieri siano spesso etichettati come "gruppo problematico", senza un'accurata riflessione sui bisogni individuali (ad esempio, adeguando e differenziando le modalità d'insegnamento per bambini di prima o seconda generazione, arrivati di recente, figli di rifugiati, non accompagnati, etc.).

Io auspico, pertanto, - ha concluso - che collaborazioni come quella odierna, incontri dello stesso tipo, possano segnare e consolidare la strada più naturale possibile per una crescita comune: quella dell'accoglienza e dell'inclusione".

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