Prezzi in salita, salari fermi: lo schiaffo quotidiano al Paese che lavora
di Mario Garofalo
Nel pieno dell'estate italiana, mentre i palazzi del potere si godono le ferie e le passerelle mediatiche si spostano sotto il sole, i numeri — quelli veri, quelli che raccontano la vita reale — urlano. Non parlano, urlano. I dati ISTAT di luglio non lasciano scampo a chi vuole minimizzare: +3,1% la verdura, +8,8% la frutta, +4,9% la carne, +2,8% i prodotti confezionati. Apparentemente piccole variazioni, certo. Ma sommate tra loro raccontano una quotidianità sempre più insostenibile per milioni di italiani.
E la domanda — semplice, brutale — è sempre la stessa: chi li paga questi aumenti?
Non i redditi da capitale. Non le rendite protette. Non chi può permettersi di vivere di patrimoni e immobili. No, a pagare sono ancora una volta gli stessi: i lavoratori, i pensionati, le famiglie che tirano la cinghia ogni mese. Gli stipendi restano fermi. Da anni. In un'Italia che ha fatto della precarietà salariale una costante e della retorica sui sacrifici un alibi per non cambiare nulla.
Lo stipendio di un insegnante, di un operaio, di una commessa vale oggi meno di dieci anni fa. Non per colpa del mercato, ma per colpa dell'inerzia politica. E mentre l'inflazione — pur rallentata — continua a colpire i beni essenziali, la politica risponde con un silenzio che sa di complicità.
Il governo Meloni? Assente. Distratto? No: consapevolmente inerte. Di fronte a un'emergenza sociale che colpisce milioni di persone, l'esecutivo non solo tace: sceglie deliberatamente di non intervenire. Nessuna misura strutturale, nessun piano sui salari, nessun tavolo con le parti sociali. E a questo punto il sospetto diventa certezza: non è incapacità, è scelta.
Una scelta precisa: quella di lasciare che il peso dell'inflazione ricada tutto sulle spalle dei più deboli. Una scelta che tradisce l'idea stessa di equità. Perché parlare di salari significa redistribuire. E redistribuire significa toccare interessi consolidati. Ma chi governa ha il dovere di scegliere. Non si può fare il Presidente del Consiglio con il megafono in campagna elettorale e poi zittirsi quando si tratta di affrontare il costo della vita.
La proposta #SbloccaStipendi, lanciata da Alleanza Verdi Sinistra, non risolve tutto, ma mette il dito nella piaga: l'Italia ha bisogno di un meccanismo che adegui i salari al costo reale della vita. È una battaglia che va oltre i partiti. Riguarda la dignità di chi lavora.
Questa testata non fa opposizione politica. Ma non può rimanere neutrale di fronte a un Paese che si sta spaccando in due: da un lato chi ce la fa, dall'altro chi affonda ogni mese un po' di più. E il governo ha il dovere di vedere, ascoltare, intervenire. O almeno, di avere il coraggio di spiegare perché non lo fa.
Perché non si può continuare a governare ignorando la realtà dei supermercati, dei bollettini, delle famiglie monoreddito. Non si può continuare a pensare che bastino spot e slogan a coprire il rumore della rabbia sociale.
La fiducia non è eterna. La pazienza, nemmeno.
E quando si rompe, non resta che la resa dei conti. Politica, democratica, ma inevitabile.
