Quando la parità è uno slogan

13.03.2021

Nei giorni scorsi, ha destato molto clamore la vicenda di Lara Lugli, la pallavolista italiana colpevole di essere rimasta incinta durante la stagione sportiva. La vicenda in realtà risale alla stagione 2018\2019 ed ha tristemente conquistato gli onori della cronaca solo ora.

L'accusa che la Società le muove è di "aver taciuto la sua intenzione di avere figli" - un'accusa respinta dall'atleta ai microfoni di una trasmissione televisiva, in quanto "non era programmata la gravidanza, ma è successa". La vicenda ha suscitato scalpore ed indignazione e giustamente. Dal nostro punto di vista il problema non è se la gravidanza è successa o era programmata, ma il principio, il messaggio che si trasmette.

Questi i fatti. Nella stagione 2018-2019 Lara fu ingaggiata da una squadra di B1 del Nord Italia. A marzo comunicò alla società che avrebbe interrotto l'attività perché incinta. La gravidanza non giunse però a termine per un aborto spontaneo. La società, dopo che Lara chiede di saldare il compenso mai corrisposto del mese di febbraio 2019, la cita per danni per non aver onorato il contratto.

Dunque ci viene da chiederci... Se Dybala - noto calciatore della Serie A in forza alla Juventus - è infortunato per tutta la stagione, non solo percepisce lo stipendio, ma intavola trattative per il rinnovo chiedendo (forse pretendendo) cifre da capogiro. Se una donna resta incinta, invece, non solo non la si paga, ma la si cita per danno.

Sono state tante le voci che si sono alzate in sua difesa, per lo più di donne, tante le associazioni che hanno voluto esprimere la loro solidarietà a Lara per l'atto discriminatorio ricevuto.

«Il caso di Lara non è isolato nel suo genere,- scrive su Famiglia Cristiana Emma Ciccarelli, Vicepresidente del forum delle associazioni familiari - ogni giorno tante donne sono costrette a rinunciare al lavoro a causa di una maternità o della gestione dei figli. La maggior parte di queste donne non fa notizia ed è rassegnata ad affrontare una scelta forte nella consapevolezza di non essere apprezzata nel mondo del lavoro, la maternità e il pancione sono considerati come un fatto di cui doversi vergognare. Questa prassi si è particolarmente acutizzata in questo ultimo anno di pandemia. Nello scorso dicembre l'Istat certifica che su 101 mila posti di lavoro persi per, il 98% sono donne. Un triste primato. Le donne strette nella morsa della pandemia che continuava a chiedere sacrifici alle famiglie, non riuscendo più a conciliare i tempi dei figli con quelli del lavoro, hanno scelto di rinunciare al lavoro. Scelta obbligata e sofferta».

Le politiche per le pari opportunità fanno ancora fatica a consolidarsi. Diciamoci pure che è la cultura della presenza e del ruolo della donna nella società che manca, al di là delle tante, belle, (inutili?) intenzioni.

È tempo di voltare pagina e di mettere al centro del dibattito pubblico il valore sociale della maternità; capire che un figlio è un investimento per tutto il paese, soprattutto in un paese come l'Italia che lentamente sta morendo di vecchiaia.

È tempo di abbattere quel vecchio retaggio culturale che considera la maternità una schiavitù per le donne e un ostacolo alla propria realizzazione nella società.

La pandemia e la grave crisi demografica in corso stanno indebolendo oltre che il presente anche il futuro del paese. Nel nostro Focus-DAD abbiamo a più riprese sottolineato come questo momento storico stia fortemente condizionando la possibilità di tante donne, mamme, di poter svolgere il proprio lavoro, costrette a rimanere a casa per garantire la formazione dei propri figli.

L'Istat nell'ultimo report ci ricorda che il numero medio di figli per donna continua a scendere: ben 1,18 per quelle con cittadinanza italiana, mentre è di 31,3 anni l'età media in cui si diventa madri per la prima volta.

La vicenda di Lara Lugli è emblematica e ci lascia inquieti e forse deve scuotere anche il mondo dello sport a tutti i livelli e lo scriviamo mentre accogliamo la nomina di Valentina Vezzali, una donna, una grande campionessa, a Sottosegretario per lo Sport.

Che questa inquietudine non sia soffocata dalla paura, ma dia lo slancio per una nuova rinascita sociale ed umana del nostro paese, a tutti i livelli: della politica, ecclesiale, sportivo... perché la parità non resti uno slogan!

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