Quando le istituzioni svestono il ruolo educativo e indossano l’abito dozzinale della propaganda

12.12.2025

di Paolo Scarabeo

Quando una ministra si presenta davanti agli studenti dovrebbe portare con sé il peso delle parole e la calma delle istituzioni. Ieri è arrivata invece la versione da fiera di partito, quella che indossa gli slogan come se fossero una corazza contro la complessità. Gli studenti protestano, lei risponde con una frase che appartiene alla collezione degli anni '90: "Siete sempre dei poveri comunisti". E poi, come un macigno gettato con leggerezza, li definisce "inutili".

La scena è surreale: i ragazzi chiedono chiarimenti su una riforma che rischia di far perdere un anno di studi, e la risposta istituzionale è uno sfottò, un modo rapido per scansare il discorso vero. La ministra, che dovrebbe incarnare l'idea stessa di dialogo, sceglie la via più comoda: l'etichetta, il cliché, la battuta a effetto che fa applaudire la platea e rende muti quelli che dovrebbero essere i suoi interlocutori naturali. È più facile ridere dei problemi che affrontarli, più comodo liquidare le domande come una forma di caos anziché riconoscere che il caos lo produce chi governa senza ascoltare.

Gli studenti parlano, sì. E parlano perché nessuno li ascolta. Hanno visto cambiare le regole in corsa, hanno sentito promesse che evaporano, hanno osservato un semestre filtro trasformarsi in un imbuto burocratico. Per questo urlano: non per fare scena, ma per essere raggiunti da qualcuno che dovrebbe, per ruolo, tendere la mano e almeno provare a capire. Invece si ritrovano un ministro che sembra scambiare il dissenso per insolenza, e l'insolenza per un buon pretesto per non rispondere.

C'è qualcosa di profondamente stonato nel vedere un rappresentante della Repubblica trattare dei ragazzi come fossero avversari politici. Non c'è nulla di più grave di questo smarrimento: quando le istituzioni perdono l'abitudine all'ascolto, le parole che usano diventano subito armi spuntate, e chi le pronuncia appare più fragile di chi vorrebbe zittire. Una ministra che dice a degli studenti che sono "inutili" non offende loro: offende il ruolo che occupa. Svela un'inadeguatezza che nessun applauso di circostanza riuscirà a coprire.

E allora resta questa immagine amara: i ragazzi che cercano un senso, un confronto, una strada; e dall'altra parte un'istituzione che si difende con le frasi fatte, come se la complessità fosse un fastidio personale. È il segno di una politica che preferisce la propaganda al pensiero, il gesto alla responsabilità, la semplificazione al servizio. Ma un Paese che non riesce più a parlare con i suoi giovani comincia lentamente a dimenticare se stesso. E questo, davvero, non possiamo permettercelo.

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