"Rischio calcolato"... ma non dal Cts

17.04.2021

Stando a quanto risulta a Open.online, al Comitato tecnico scientifico non è stato chiesto alcun parere formale sulla ripartenza del 26 aprile 

Il prossimo 26 aprile sarà ricordata come una delle date più significative in questa fase di convivenza con la pandemia di Covid-19 in Italia. Si riapre, cercando di dare un nuovo respiro alle attività commerciali allo stremo. Un anno fa era stata la data del 4 maggio a sancire il via libera dopo un durissimo lockdown. Alla luce del parere favorevole del Comitato tecnico scientifico (Cts), il tentativo fu quello di tornare alla normalità. Il timore di un passo falso aveva reso la consulenza di tecnici e scienziati estremamente attesa. Oggi sembrerebbe essere andata diversamente. Il Paese va di nuovo incontro alla stagione estiva, il premier Mario Draghi ha annunciato riaperture anticipate, ma il Cts non ha ricevuto alcuna richiesta formale per esprimersi a riguardo.

Ritorno della zona gialla e ristoranti aperti anche di sera sono state alcune delle decisioni più importanti annunciate dal governo, concesse in maniera anticipata rispetto alle previsioni che avevano individuato nel mese di maggio il periodo più adatto a progressivi allentamenti. «Il rischio è calcolato» ha detto Draghi. «È calcolato male» ha risposto poche ore dopo il primario del Sacco di Milano Massimo Galli. «Cosi ci giochiamo l'estate», ha fatto eco Crisanti. I dati starebbero migliorando ma solo in parte. Con ricoveri in area medica ancora oltre la soglia del 40% e con un tasso di incidenza diminuito ancora di troppo poco, decidere di anticipare le riaperture è un rischio.

Su come Draghi abbia deciso di calcolarlo però ci sono diversi dubbi. A differenza della maggior parte dei casi di riapertura o chiusura decise in più di un anno di pandemia, stando a quanto risulta a Open, per la ripartenza del 26 aprile il governo non ha chiesto alcun parere formale ai tecnici del Cts.

Il «rischio calcolato» di cui parla Draghi, dunque, sarebbe frutto, di una valutazione quantomai politica. Che da un lato dà ossigeno a un Paese stanco, ma dall'altro non lascia tranquilli gli uomini di scienza. 

Insomma, virologi e infettivologi si dividono sulla scelta del governo. Ma per tutti la prima criticità da risolvere rimane la lentezza della campagna vaccinale. Per Andrea Crisanti, direttore del dipartimento di Microbiologia e virologia dell'università di Padova, le proposte del governo sono solo una mediazione tra chi vuole aprire e chi vuole chiudere. Con il ritorno alle zone gialle, dice Crisanti, i contagi torneranno ad aumentare. Quello che serve è una campagna vaccinale «a tamburo battente». I nostri dati - dice - sono ancora alti, «con le aperture aumenteranno e dovremmo chiudere proprio in estate, quando invece gli altri Paesi saranno fuori dal tunnel». Anche per Massimo Galli, responsabile di malattie infettive all'ospedale Sacco di Milano, il problema è che la campagna vaccinale è ancora troppo lenta. E in queste condizioni aprire è «un rischio calcolato male». Per l'infettivologo ci sono ancora troppi 70enni, 80enni e 90enni che non sono vaccinati.

Ed è proprio la lentezza della campagna vaccinale il tallone d'Achille dietro le riaperture. Una criticità che mette d'accordo molti esperti, anche Massimo Andreoni, direttore scientifico della Società italiana di malattie infettive e tropicali (Simit). «In un momento cruciale della campagna vaccinale italiana dovremmo essere più rigorosi, pensare alle chiusure e non ad aprire. Ricordo che le terapie intensive vivono ancora una situazione molto complicata di allerta che non è risolta». 

Sembrano essere proprio tanti i problemi irrisolti, la speranza è che a questo "calcolo", che sia tecnico o politico... corrispondano responsabilità e prudenza da parte di tutti, o sarà un terribile boomerang. 

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