Salvatore Lala – La pittura del quotidiano
di Rocco Zani
Ho sfiorato Salvatore Lala nelle riunioni di redazione
al giornale. E ricordo ancora la sua voce determinata nelle cene "carbonare"
prestate ad un tempo finalmente affrancato dalle consuetudini del quotidiano.
In ognuno di questi luoghi sopravviveva una dimensione di legittima professionalità.
Non c'è mai stato, in altri termini, distacco alcuno tra le dimensioni
(talvolta dissonanti) del nostro andare. In verità affioravano in lui, come
brevi intervalli, sensibilità celate, mai occasionali, come se avesse custodito
a lungo, in uno spazio a noi sconosciuto - direi in un sottofondo sordo - un
repertorio di intime "propensioni artistiche". Ma tutto sembrava rifarsi - o
ritagliato - a quel suo ruolo di "creatore" di immagini e idee che da anni lo
accompagna - come sillabario incessante - nel proprio lavoro. Le idee di
Salvatore Lala si affacciano su tracce capillari, appena percettibili; su
impensabili repertori cromatici; sull'ascolto repentino di dialoghi che altri
hanno già archiviato. Il suo è un lavoro di lettura colta tra le pieghe del
presente. E da questa memoria recente - destabilizzata di continuo - nascono
nuovi suggerimenti, inediti registri di linguaggio.
Ma c'è un'altra memoria. Che sembra riaffiorare di colpo per sparigliare forse
giudizi già collaudati. E che spinge il sottoscritto - ma questo è davvero
l'ultimo dato della storia - dopo anni di ozioso e salutare silenzio a riaprire
una breve finestra di scrittura. Per amicizia, certo. O meglio ancora per
quella curiosità sotterranea che rivive puntualmente dinanzi ad un nuovo
racconto. E il racconto - sorprendente - è quello che ci offre Salvatore Lala
pittore, ovvero quell'alter ego epifanico che apre a noi una memoria finora
camuffata, custodita quasi come segreto invalicabile, eppure colma di
straordinari avvertimenti.
Salvatore Lala pittore, dunque. Non già quale sperimentatore rigoroso di
inediti percorsi piegati alla sua disciplina di creatore, bensì quale artista a
tutto tondo che nella dinamica dello spazio e della forma recupera in pieno la
sua primordiale sostanza. E attore di un racconto in cui ogni capitolo pare
colmarsi di immagini struggenti e dilatate, prive di artifici rassicuranti, di
cedimenti cromatici, di devianze retiniche. Come a dire che mai come ora - mai
come in questo tempo - il re è nudo. Eppure invisibile per chi vuole
semplicemente guardare. I suoi paesaggi e le sue raffinate nature morte sono
consequenziali autoritratti, mai spalancati o urlati ma lievemente posti sulla
tela come testimonianza, come sguardo, come presenza. Impalpabile ed effimera perché
così capace di dilatare i confini, di filtrare, di arrendersi e rinascere.
Gli oggetti della quotidianità - prescelti da Lala come inevitabili icone del
nostro tempo - si fanno opportunità narrative, modelli di riconoscibilità
collettiva eppure spiazzanti se derubati del proprio contesto abituale. Corpi
estranei. Come lo sono le voci, i silenzi, le fughe di tanti. Un realismo
struggente quello di Lala, meticoloso, quasi sottolineato. Non certo un
ricamo-richiamo ma la polarizzazione - nelle immagini nude - del disagio,
dell'abisso, della solitudine, figliolanza confusa e gremita di questo tempo.
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