San Matteo: poesia di pietra e spirito nel cuore antico di Sarno

22.04.2025

Cronaca di un viaggio nella memoria viva di un borgo campano

di Mario Garofalo

Sarno, prima mattina. L'aria è fresca, limpida. Arrivo in città con l'idea di raccontare un luogo poco noto ma profondamente radicato nella storia e nell'identità campana: il Borgo di San Matteo. Me ne hanno parlato come di un luogo dove il tempo sembra rallentare, e ho voluto verificare di persona.

La giornata comincia al Garibaldi Caffè, nel cuore della città. Saverio Marchese, pasticciere e custode di dolci memorie, mi accoglie con un sorriso gentile. Davanti a una sfogliatella appena sfornata e a un caffè aromatico, mi racconta del borgo: "È un luogo che va vissuto lentamente. Ogni pietra ha qualcosa da dire." Segno tutto. E riparto.

Il percorso verso San Matteo è in salita. Le strade si stringono, il traffico svanisce. Le case iniziano a farsi più antiche, addossate le une alle altre, come se si sorreggessero a vicenda. Salendo lungo le pendici del Monte Saro, il borgo comincia a mostrarsi nella sua forma più autentica: vicoli stretti, basolati consunti dal tempo, scalinate scavate nella roccia.

Al centro di tutto, la chiesa parrocchiale di San Matteo, risalente al 1280. Mi fermo. La facciata è semplice, solida, priva di ostentazione. Dentro, l'atmosfera è raccolta: luce fioca, odore d'incenso, un silenzio che non pesa. È uno di quei luoghi dove anche il passo più leggero sembra troppo forte. Mi siedo per qualche minuto, osservo. L'altare, le pareti, i volti scolpiti dal tempo: tutto parla di una fede antica, vissuta.

Riprendo il cammino. Il borgo si sviluppa su più livelli, in verticale. Camminando senza una meta precisa, incrocio scorci inattesi: piccoli balconi con lenzuola al vento, archi che collegano le case, vasi di basilico sulle soglie. Poi, a un tratto, l'acquedotto Claudio. Una struttura sobria, elegante nella sua funzione. Osservandolo da vicino, colpisce la precisione dell'incastro tra natura e architettura. Qui tecnica e paesaggio si fondono, raccontando una storia di ingegno e rispetto.

Continuo a salire. Le rampe del borgo sembrano invitare al silenzio e alla riflessione. Incontro un abitante, anziano, seduto su una panca. Gli chiedo da quanto tempo vive qui. Mi risponde: "Da sempre. E ogni volta che salgo queste scale, mi sento più leggero." Non so se parla delle gambe o dello spirito, ma capisco cosa intende.

Il sole comincia a calare. Le luci delle case si accendono una dopo l'altra. Il borgo si trasforma: le pietre prendono un colore dorato, le voci si affievoliscono. Dalla terrazza naturale in cima, la vista è mozzafiato. Da qui si vedono Pompei, Capri, Castellammare. E, più in là, il mare. Il Vesuvio, maestoso, chiude l'orizzonte con la sua silhouette immobile.

Prendo appunti. Scatto qualche foto. Ma qualcosa mi dice che qui la cronaca non basta. San Matteo non è solo da raccontare: è da ascoltare. Ogni gradino, ogni muro, ogni finestra aperta sul vuoto è parte di una narrazione più grande, che mescola storia, spiritualità e quotidianità.

Scendo che è già buio. Le strade sono silenziose, illuminate da pochi lampioni. Il borgo resta alle mie spalle, ma la sensazione è quella di aver attraversato qualcosa di vivo, che non si lascia ridurre a parole. San Matteo non è un luogo che si visita, è un luogo che si incontra.

E come cronista, posso dire questo: nel cuore antico di Sarno, tra pietra e spirito, ho trovato una piccola lezione di bellezza e lentezza. Una storia che merita di essere raccontata e custodita.

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