Smartphone e social vietati agli adolescenti: perché sì, perché no

28.11.2024

Il dibattito divide. Da parte nostra, siamo convinti che vietare non aiuti, meglio educare (forse innanzitutto i genitori) e poi... dare una stretta, ma alle cose giuste!

Pietro Saccò, Viviana Daloiso, Paolo Scarabeo

Ha superato le mille firme in poche ore la petizione su Change.Org per chiedere di vietare l'uso degli smartphone agli Under 14. «Chiediamo al governo italiano di impegnarsi per far si' che nessuno dei nostri ragazzi e delle nostre ragazze possa possedere uno smartphone personale prima dei 14 anni e che non si possa avere un profilo sui social media prima dei 16» si legge nell'appello di cui sono primi firmatari il pedagogista Daniele Novara e lo psicoterapeuta Alberto Pellai. La petizione chiede un'ulteriore stretta sull'uso dei cellulari per i giovanissimi dopo il divieto di averli in classe fino alla terza media deciso dal governo. È stata sottoscritta da intellettuali e personalita' del mondo dello spettacolo, da Paola Cortellesi a Piefrancesco Favino, da e Alba Rohrwacher a Luca Zingaretti.

Giusto vietare, c'è un'emergenza educativa da affrontare

Su milioni di app che si possono scaricare su uno smartphone quelle che potrebbero essere davvero utili per un ragazzo o una ragazza di 12-13 anni sono poche: l'antichissima app "telefono", buona per parlare con gli amici e ottima per rassicurare gli ansiosi genitori contemporanei (con telegrafiche telefonate tipo «vengo a casa», «va bene, state tranquilli»); la coeva app "sms", per recapitare ancora più rapidamente i medesimi messaggi a mamma e papà; e la moderna Maps di Google, per orientarsi in città negli anni in cui ci si guadagna la prima fetta di vera autonomia. Poi, naturalmente, Spotify o qualcosa del genere per ascoltare la musica. Di tutto il resto – a partire da TikTok e Instagram – che cosa dovrebbe farsene un preadolescente?

Sappiamo a che cosa serve la stragrande maggioranza delle app più popolari: principalmente a catturare l'attenzione dell'utente per rivenderla a investitori pubblicitari, raccogliendo una straordinaria quantità di preziosi dati personali che fanno gola a chi deve venderci qualcosa. E dovremmo ormai sapere – perché sono anni che ne parliamo – che in tutto il mondo una grande quantità di psicologi, pedagogisti e insegnanti sono preoccupatissimi per gli effetti che l'uso quotidiano di uno smartphone prima dei 14-15 anni può avere sullo sviluppo di un essere umano. Fa danni a livello cerebrale rendendo più complicate concentrazione e comprensione, ostacola la sana socializzazione con i coetanei, crea una dipendenza tecnologica da cui è difficile liberarsi. Non occorre avere studiato psicologia dello sviluppo per capire poi che aprire un account social per mettersi in vetrina e ricevere i giudizi del mondo sul proprio corpo e su sé stessi proprio negli anni in cui abbiamo più bisogno di capire chi siamo è incredibilmente pericoloso.

Queste cose le sappiamo già, o almeno dovremmo saperle perché ne parliamo da anni. Eppure, siamo arrivati a questo punto: quello in cui alcuni dei migliori psicologi e pedagogisti italiani, con Daniele Novara e Alberto Pellai primi firmatari, sentono la necessità pubblicare una petizione su change.org per chiedere di vietare gli smartphone a chi ha meno di 14 anni e i social a chi ne ha meno di 16. Invocano l'intervento urgente dello Stato in quella che dovrebbe essere una decisione che spetta alla famiglia. Ma forse ormai davvero serve una legge, perché come società non possiamo permetterci il rimbambimento e la depressione da smartphone di intere generazioni e perché troppi genitori questo "no" da soli non sono capaci di dirlo: alcuni perché si rassegnano alla realtà del "tanto ce l'hanno tutti", altri perché sono sinceramente convinti che dotare i figli di uno smartphone migliorerà la loro vita. Ne restano convinti anche quando li vedono fissare e far scorrere uno schermo per ore.

Proviamo a girare la domanda, per una volta: a che età vogliamo dare i nostri figli agli smartphone? L'inizio della scuola può essere l'occasione di ragionarci insieme dentro le temute chat tra i genitori delle nuove classi che si formano. Il divieto, se mai passerà, non arriverà domani. Possiamo decidere insieme che gli smartphone possono aspettare ancora un po'. Chi non resiste può fare accettare ai figli quelli che adesso chiamano dumbphone: telefonini vecchia maniera, che telefonano, mandano messaggi e basta. Hanno tutto quello che può servire davvero. Lasciano diventare smart i ragazzini prima dei loro apparecchi.

Pietro Saccò

Meglio educare, col "no" si costruiscono muri inutili

La premessa è d'obbligo: non c'è nulla da eccepire nelle ragioni che hanno portato i più rinomati tra i nostri pedagogisti (alcuni dei quali non a caso scrivono da anni di questo tema sulle nostre pagine) a lanciare al governo italiano l'appello di vietare ai ragazzi e alle ragazze sotto i 14 anni di poter acquistare uno smartphone e a quelli sotto i 16 anni di avere un profilo social. I danni effettivi che l'uso smodato dei cellulari e la permanenza eccessiva online hanno sul cervello dei minori sono dimostrati, punto. Le nostre autorità sanitarie, così come sta avvenendo in altri Paesi attorno a noi, dovrebbero prenderli sul serio, approfondirli e offrire strumenti oggettivi di valutazione alla politica.

Ma la premessa si infrange contro la realtà: di casa, di scuola, di palestre e oratori, di aziende e uffici, dell'essere genitori di figli adolescenti, dell'essere adolescenti cresciuti nel mondo degli smartphone e dei social e del post-Covid (il Covid li ha immersi nella Dad e nelle videocall, la loro vita è andata avanti soltanto perché appesa al filo di quella rete e di quegli smartphone che pure fanno male, esattamente come la nostra). Il mondo in cui viviamo è fatto a misura di smartphone e tablet, plasmato dai e sui social fino alle radici del suo linguaggio, stravolto dall'uso sempre più massiccio delle tecnologia e dell'intelligenza artificiale: ci sono eccessi, ci sono storture, può non piacerci, possiamo tenercene lontani, ma in questo mondo viviamo, non ce n'è un altro, e in questo mondo i nostri figli crescono e saranno scaraventati dopo i 14 o i 16 anni qualsiasi cosa accada prima. È con questa realtà che la comunità educante deve fare i conti, e deve avere il coraggio di farli una volta per tutte pagando lo scotto di una sfida epocale: continuare ad educare.

Il "no", si dirà, fa parte dell'educazione: i divieti servono, i paletti tracciano la strada. Ma i divieti e i paletti sono anche tanto comodi: si piantano una volta per tutte, non richiedono sforzi aggiuntivi, chi li rispetta d'ora in poi sarà "buono", chi li infrange "cattivo", di qui la verità, di là gli sbagli. In mezzo – nel mezzo del cammino avventuroso e cangiante che è crescere – nessuna terza via. «Non mi fa paura che mia figlia guardi un video inappropriato su Tik Tok – osservava una mamma durante un'assemblea di classe qualche tempo fa –. Mi fa paura che lo faccia senza di me, che lo faccia senza che io sia lì con lei a spiegarle quello che sta guardando». L'educazione richiede innanzitutto tempo, sguardo, ascolto, confronto. Poi, regole. Infine tra le regole, se necessario, divieti.

Sugli smartphone e i social c'è chi in questi anni ha scelto la strada dello "stare con quello che c'è", affrontando l'impresa di educare all'uso di questi strumenti attraverso percorsi consapevoli e responsabilizzati che comincino a scuola: è il caso dei "patti digitali" e dei famosi "patentini", esperienze di avvicinamento graduale alle tecnologie legate a ore di formazione (il Friuli Venezia Giulia in questo è un modello). Il principio? Non vietare, ma vincolare l'uso del cellulare e l'accesso ai social a percorsi di formazione. Per affrontarli occorrono tempo, risorse, professionisti e quell'alleanza tra istituzioni, scuola e genitori senza cui l'educazione è destinata ad arrendersi ai divieti soltanto. Non arrendiamoci.

Viviana Daloiso

E allora... partiamo dai genitori. Noi siamo per l'educazione

Qualcuno mi ripete sempre che la mia posizione sul tema è sbagliata! Ma io resto della convinzione che l'educazione sia la via! Educare innanzitutto i genitori a comprendere che i "no" fanno bene e fanno crescere e che c'è una gradualità nella crescita e che ci deve essere un tempo per ogni cosa! Il telefono a tavola, mentre si mangia... il telefono a letto che toglie ore importati di sonno... il telefono addirittura nei momenti di intimità, il telefono mentre si attraversa la strada, il telefono a scuola. Il telefono ovunque! Il telefono a 3 anni. Il telefono che è diventato il regalo della prima comunione (9 anni). Il telefono mentre si fanno i compiti e magari si affida al telefono e a qualche App lo svolgimento degli stessi! Il telefono che non li fa leggere più e non sanno più leggere! Il telefono che è diventata il prolungamento naturale della mano! E poi i Social... aiutare i ragazzi (e noi adulti) a comprendere che i Social vanno abitati, non si fa turismo. Che i Social sono luogo di incontro che dal virtuale porta al reale e richiede una realtà. I Social più che ogni altra cosa ci fanno comprendere il perché di una educazione che sia rivolta innanzitutto ai genitori. In sé, infatti, un'età minima per avere un profilo Social esiste già. Ma è una regola bellamente violata con tanto di permesso e consenso dei genitori, se non addirittura concedendo l'utilizzo dei propri dati anagrafici. Per esempio, in Italia comprare le sigarette se si ha meno di 18 anni è vietato, ma spesso si va al distributore automatico con la tessera sanitaria di mamma o papà o dell'amico più grande, o del fratello... Minori, ad esempio che scommettono online, con quali dati anagrafici lo fanno? Ho avuto alunni della scuola secondaria di primo grado (quella che un tempo si chiamava la scuola media) che al primo anno avevano attivi già profili su 3, 4 piattaforme! Ho alunni del primo anno della secondaria di secondo grado (prima superiore) che a 14 anni hanno almeno 3 profili attivi! Di tutto questo, i genitori cosa sanno? E se non sanno, perché non lo sanno?

E poi i ragazzi... vietare loro l'uso del telefonino (compito arduo se non impossibile) a che serve? Una norma in più da violare? Un muro in più da scavalcare? Noi siamo conviti che serva disegnare perimetri, confini, non innalzare barriere! Serve educarli all'uso del telefonino, a utilizzarlo in alcune ore del giorno e non farlo in altre! Serve, ad esempio, far comprendere loro che affidare a ChatGPT la compilazione di temi o riassunti o ricerche non li rende furbi, li rende ignoranti! Serve far comprendere che aprire un link e fare copia e incolla non li rende più bravi, li rende meno preparati! Serve far comprendere che fare foto agli altri e renderle pubbliche è reato, non una ragazzata! Serve aiutarli a comprendere che alimentare odio nella rete, o prendersi gioco di qualcuno, o filmare scene di violenza o di bullismo e diffonderle in rete, uccide! Personalmente, leggendo tanti commenti di noi adulti sui Social, li vieterei per primi a noi i Social! Spesso diventano la piazza di schegge impazzite che danno libero sfogo a odio e frustrazioni!

e allora la stretta, dove?

Eppure una stretta è necessaria, ma va data bene! Alle cose giuste! Va data, ad esempio, a tutte quelle piattaforme che permettono l'accesso al porno gratuitamente e a tutti. Va data a quelle piattaforme che promuovono la violenza e ne fanno una bandiera. Va data a quelle piattaforme che consentono l'uso incontrollato e non etico della intelligenza artificiale! Va data a quelle piattaforme che permettono l'utilizzo di immagini e contenuti pedopornografici e che si nascondono dietro l'extraterritorialità per non essere perseguite! Va data a quelle piattaforme che "bannano" il Padre nostro perché "non conforme alle nostre politiche" ma, guarda caso, non si rendono conto che qualcuno ha aperto una pagina per denigrare qualcun altro, per bullizzare, per diffamare!  Come va data? Semplicemente chiudendole! Quando innalzano barriere, quando si rifiutano di collaborare con le autorità, quando per il profitto pubblicitario non filtrano contenuti, quando si nascondono dietro quei testi minuscoli scritti a piè di pagina in cui si dichiarano non responsabili della pubblicazione di determinati contenuti... C'è una legge in Italia, ad esempio, che vieta la pubblicità del gioco d'azzardo! Fatevi un giro su Facebook e fatemi sapere quanta ne trovate! Qualcuno mi dirà, ma questo è bavaglio, lede la libertà! Imbavagliare la morte non è mai sbagliato! Negare la libertà ai venditori di morte, neppure!

Paolo Scarabeo

©Produzione riservata

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