“Tre manifesti per la libertà”, di Ahmet Altan

23.06.2021

di Francesca Iervolino

"Tre manifesti per la libertà" è l'ultimo, toccante atto di "j'accuse" che lo scrittore turco Ahmet Altan ha raccolto in un volume concepito come memoria difensiva per smontare, punto per punto, il castello di accuse false e infamanti che il governo Turco, capeggiato da R. Erdogan, ha costruito contro di lui e altri intellettuali turchi (scrittori, giornalisti, registi) colpevoli di aver offeso e minato, con i loro interventi, l'integrità e la sicurezza dello Stato e del Governo. Il volume, edito da Edizioni E/O nella collana "Assolo", è diviso in tre "manifesti" (Ritratto dell'atto di accusa come pornografia giudiziaria, Non sono il vostro imputato, La giustizia della stupidità) ed è preceduto da una lettera firmata da 51 premi Nobel nella quale si richiede, senza indugio, il rilascio immediato dei giornalisti e intellettuali incarcerati ingiustamente e il ristabilimento dello stato di diritto in Turchia, compromesso dalle azioni (veri e propri crimini) compiute dal Presidente Erdogan. Sul banco degli imputati, come un martire moderno, Altan chiarisce ogni sua azione con tutti mezzi che la legalità offre lui: punto per punto smentisce ogni scandalosa accusa avanzata contro di lui dai giudici. Ma fa di più: è lui stesso a giudicare il sistema di corruzione e intimidazione che risiede alla base delle accuse, un sistema anticostituzionale avallato dal governo.

"Giudicherò coloro che, a sangue freddo, hanno ucciso il sistema della giustizia consentendo l'arresto di migliaia di cittadini innocenti. Non ho il potere di punire la gente né d'incarcerarla e, in ogni caso, non vorrei mai avere questo potere. Ma ho il potere di svelare l'omicidio, di identificare l'assassino, di mostrare le armi sanguinarie usate per questo infido delitto e di raccontare i crimini che sono stati commessi". Sono tre testi scritti con passione e lucidità, che ricordano le opere migliori del pensiero illuminista e democratico, degli atti di accusa vibranti, delle ricostruzioni avvincenti di come Erdogan sta soffocando la democrazia in Turchia, degli omaggi commoventi alla libertà, all'onestà e alla legalità".

Con coraggio, abnegazione e con la consapevolezza della fondatezza delle proprie ragioni, Altan firma l'ultimo atto di una battaglia portata avanti, negli anni, in nome della libertà di pensiero e di espressione (due colonne portanti su cui si fonda, d'altronde, tutta la sua produzione letteraria); nei tre testi qui presentati Altan non difende solo se stesso e il proprio operato, ma anche diverse personalità tra cui accademici, professori ed intellettuali accusati anch'essi, a vario titolo, di golpismo e minaccia allo Stato costituito.

"So che lo stato di diritto è stato preso a fucilate. È ferito, sanguinante e ridotto in coma, ma alla fine guarirà e farà ritorno".

Con uno stile semplice, chiaro e diretto lo scrittore si fa beffe dei giudici che lo hanno condannato e lo fa con una ricostruzione puntigliosa e precisa dei mezzi adoperati dagli inquirenti contro di lui: sospetti inconsistenti, testimoni corrotti, supposizioni e indizi del tutto vaghi e una precisa, quanto bizzarra accusa. Si ritiene, infatti, che Altan conoscesse gli uomini accusati di essere a capo del colpo di stato del 15 luglio 2016, appartenenti al movimento "Organizzazione terrorista fethullahista" (FETÖ/PDY).

"Analizzando passo dopo passo il documento - scrive ancora Altan - vi mostrerò la terribile malattia contratta dalla giustizia. Non lo farò in base all'ingenua convinzione che oggi in Turchia esista un sistema giudiziario sensato e indipendente. Sono ben consapevole che viviamo in un'era di vergogna e tirannia, in cui i detenuti rilasciati dal Tribunale vengono arrestati di nuovo non appena mettono piede fuori dall'aula, e sono altrettanto ben consapevole che io stesso, proprio mentre assisto al dispiegarsi dei suoi effetti, vengo messo sotto accusa da quella tirannia che per mano degli avvocati ha intrapreso un massacro della legalità".

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