Tutto è relativo. Scopriamone il senso.

15.09.2021

di Egidio Cappello

È molto facile sentire da interlocutori di vario genere che tutto è relativo. Ma chi è chiamato a spiegare il senso della espressione denota la mancanza di opportune argomentazioni, limitandosi ad evidenziare la inesistenza di riferimenti e valori oggettivi. Tutto è relativo significherebbe l'esplicitazione del logo del sofista Gorgia da Leontini: l'essere non è, se fosse, non sarebbe conoscibile, se fosse conoscibile non sarebbe comunicabile. Oggi il relativismo è questo: non ci sono valori oggettivi, non ci sono saperi oggettivi, non ci sono scale di valutazione oggettive, non c'è alcuna tendenza all'unità dalla diversità storiche. 

Se tutto è relativo, così nel senso comune, la verità non esiste, né logica, né etica, né politica, sicché il senso autentico delle cose si disperde nei particolari significati che ognuno attribuisce alle proprie parole e alle proprie espressioni. Il relativismo è stato risucchiato all'interno delle trame ordite dal soggettivismo radicale: è il soggetto il giudice unico delle proprie valutazioni e delle proprie comunicazioni. Il relativismo è oggi snaturato dall''individualismo imperante. Anche il linguaggio della Chiesa ha recepito e fatto proprio il senso attuale del relativismo e da questo ha derivato la propria opposizione nei confronti della teoria relativistica. Ebbene sulla predetta connotazione del relativismo vogliamo riflettere per recuperarne la validità e il senso autentico, tanto necessari proprio in questi tempi, in cui latita la validità della connessione logica e dell'obbedienza ai principi fondamentali del pensiero e dell'agire umano. 

Diciamo subito che la nostra idea è totalmente opposta sia a quella di coloro che propongono un relativismo basato sulla centralità dell'uomo, sia a quella di coloro che osteggiano in ogni modo l'ottica relativistica. Ai primi noi rispondiamo che non esiste relativismo quando la relazione logica non esce dai limiti della soggettività. Se il soggetto che valuta è anche la sorgente dei principi fondanti la valutazione stessa, sicché l'atto mentale rimane nei recinti della soggettività non confrontandosi con realtà oggettive, allora non siamo di fronte ad alcun relativismo. Si tratta in questo caso di superbia della soggettività. Ai secondi, ossia a quelli che azzerano il relativismo perché rovinoso per la vita etica e relazionale, diciamo che ogni atto della mente è possibile solo attraverso la connessione con principi universali e se questi ultimi oggi sono poveri e carenti, non vuol dire che è tale la connessione logica. 

Non è la relazione ad essere sbagliata, bensì la relazione al soggetto che si impone impropriamente come origine della legittimazione della relazione stessa. La decadenza delle "auctoritates" nel mondo logico, nel mondo etico, sociale, politico, economico, ha causato la tendenza allo svuotamento della cultura della oggettività, nella quale si colloca invece il relativismo. Il relativismo ha un spessore significativo e indica non solo la giusta modalità per avere un approccio al mondo interiore ed esteriore dell'uomo, ma apre alla possibilità di leggere in modo giusto la storia e di proiettarsi verso il futuro con autentiche valutazioni. Ogni dottrina della oggettività, ogni scienza che si fonda su principi "anapodittici", ogni cultura che non rinuncia a riferimenti autorevoli e su questi basa la propria dignità e la sua ragion d'essere, tutte sono relativistiche in quanto impongono ad ogni teoria, ad ogni valutazione la prioritaria connessione con i principi di riferimento. 

Ecco allora l'errore della cultura che nega ogni validità al relativismo, aver bollato la relazione per la carenza dei principi di riferimento, per la carenza di uno dei termini della relazione. Come si legge tra le righe, la dottrina cristiana è relativistica in modo assoluto, in quanto detta i riferimenti primi e ultimi ai quali ogni atto del pensiero va connesso e riferito, riferimenti che sono nel Vangelo di Gesù Cristo. La dignità della persona umana, la divinità della vita, la felicità e la gioia di tutti, il benessere costituito dal bene universale e assoluto, la storia come ricerca della pace e della giustizia, la negazione e il rifiuto del male, la solidarietà e la fratellanza universale, sono principi fondamentali ai quali connettere ogni pensiero e ogni azione di ogni settore del vivere civile, per misurarne la validità e il senso. Nessuno di questi principi manca nel vocabolario di Gesù Cristo, nessuno può mancare nel vocabolario dell'uomo. L'attività precipua della mente umana è la connessione che, in ogni atto, essa riesce ad instaurare tra le cose e Dio, tra il tempo e l'eternità, tra le convenienze e il bene assoluto. 

La mente umana non potrà mai sottrarsi alla sua attività di connettere il particolare con l'universale, pena la sua stessa esistenza. Scrive Giovanni Paolo II che ogni atto, pensante o agente, predispone la mente umana alla trascendenza ossia la apre ai valori oggettivi ed eterni che legittimano e danno colore di infinito alle cose umane. Il cristiano vive di Cristo, fondamento della sua vita e tende, come scrive San Paolo, a spogliarsi della sua individualità fino a farsi occupare interamente da Gesù. Il cammino dell'uomo non è affidato al caso, né è frutto della sua singolare individualità. Gesù ha detto di essere la verità, di essere la via e la vita: tutto allora va connesso alla sua Parola e da questa legittimato. La bellezza, la sapienza, il giudizio, la comunicazione, la scienza, non saranno mai espedienti di anime isolate se riceveranno dalla santità di Dio i propri contenuti e la propria verificazione. Non possiamo non terminare questo intervento senza auspicare e augurare che si recuperi il senso del relativo che vuol dire recuperare il ruolo dell'eterna oggettività affinché l'umano, relazionato a Dio, riceva i propri significati autentici e nuove tensioni relazionali.        

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