Un vuoto culturale che parla da sé
di Paolo Scarabeo
Ci sono dichiarazioni che non scivolano via come l'ennesima polemica quotidiana: restano, pesano, perché rivelano il retroterra da cui nascono. Le frasi pronunciate dal Ministro della Giustizia Carlo Nordio e dalla Ministra Eugenia Roccella appartengono a questa categoria. Non sono semplici opinioni mal formulate: sono sintomi di un vuoto culturale profondo che arriva proprio da chi dovrebbe rappresentare il livello più alto del pensiero istituzionale.
"Il maschio? Non accetta la parità, è nel suo DNA" dice Nordio.
Una frase che, da sola, cancella decenni di ricerca, pedagogia, diritto, antropologia. È un'affermazione deterministica che non ha niente di scientifico e molto di ideologico: scarica sulla biologia ciò che è invece responsabilità della società, dell'educazione, delle strutture di potere. Dire che la violenza — perché di questo si parla — è scritta nel DNA maschile non solo è falso, ma è un modo elegante per lavarsene le mani.
Poi arriva Roccella, che dopo la sciagurata frase su Auschwitz riesce a superarsi:
"Non c'è alcun legame tra educazione sessuale a scuola e calo delle violenze".
Un'affermazione che contraddice anni di studi internazionali, programmi consolidati, risultati concreti. Dove l'educazione affettiva e sessuale è introdotta seriamente, i tassi di violenza diminuiscono. Non è un'opinione: è un dato. Negarlo significa rifiutare la realtà per aderire a una visione ideologica che considera la scuola un luogo da tenere sotto tutela, più che un luogo dove formare cittadini consapevoli.
Il problema non è solo ciò che dicono, ma il mondo culturale da cui queste frasi emergono. È un mondo che ha paura della complessità, che diffida della modernità e che vive il cambiamento — soprattutto quello che riguarda i rapporti tra uomini e donne — come una minaccia. È un mondo che non vede la violenza di genere come un fenomeno sociale, ma come qualcosa di "naturale", ineliminabile, quasi un effetto collaterale della convivenza.
È un mondo povero, anzi: vuoto.
Vuoto perché non sa leggere la realtà contemporanea.
Vuoto perché non ha strumenti culturali per interpretare ciò che accade.
Vuoto perché continua a confondere morale e politica, natura e cultura, opinioni e fatti.
E quando il vuoto culturale arriva al governo, le conseguenze non sono solo simboliche: diventano politiche, legislative, educative. Diventano scelte. E ogni scelta fatta senza cultura è una scelta sbagliata.
Se oggi l'Italia discute di questi scivoloni non è per gusto della polemica: è perché rappresentano un campanello d'allarme. Quando un ministro parla, parla un'istituzione. Quando un'istituzione parla usando concetti pre-scientifici, negando l'evidenza, giustificando la disuguaglianza o ridicolizzando l'educazione, sta dicendo qualcosa di molto serio: non è all'altezza del compito.
Non si tratta di pretendere un linguaggio impeccabile, ma di pretendere una visione del mondo. Una visione informata, colta, moderna. Alla politica italiana oggi manca esattamente questo: la cultura per affrontare problemi enormi senza ridurli a slogan folkloristici.
Nordio e Roccella non hanno fatto altro che mostrare, senza filtri, questa povertà. Ed è il segnale più preoccupante: perché non si tratta di due opinioni isolate, ma di un clima. E il clima culturale di un Paese si riconosce proprio da queste frasi: dalle parole che non dovrebbero mai uscire dalla bocca di chi governa.
Una democrazia forte si costruisce anche così: pretendendo che chi parla lo faccia con cognizione, responsabilità e cultura. Qui, purtroppo, non ne abbiamo vista neanche l'ombra.




