Voci della Memoria

08.02.2022
Vittorio Miele
Vittorio Miele

di Rocco Zani

Il giorno della memoria (o meglio, i giorni) è uno spazio dilatato, difficilmente riconducibile ad una meta celebrativa o alla forzata identificazione di un'ora, di un giorno, di una data. Al pari delle stagioni, allungate per umori e squarci, per occasioni. Allora ogni testimonianza è un capitolo, un'agora attorno alla quale radunarci all'ascolto...

VITTORIO MIELE 1943, 1944 (da uno scritto di Vittorio Miele)

...L'inverno del '43 fu molto rigido. Si affievoliva in noi (sepolti da giorni in una grotta alle pendici di Montecassino, verso il lato nord) ogni speranza. Si faceva strada, nell'intimo, la certezza che tutto sarebbe stato vano e il nostro destino segnato. In una notte di dicembre i tedeschi effettuarono un rastrellamento di civili. Scoprirono il nostro rifugio dove ognuno giaceva stretto all'altro: per terrore, e per non disperdere l'unico calore a disposizione, quello dei corpi. La notte fu interrotta da quelle voci incomprensibili, da ordini decisi e minacciosi; dalle armi spianate e dalle torce che ci accecavano ( i nostri occhi non erano più abituati ad una luce così intensa). Furono catturati tutti gli uomini. Cercai mio padre e mi attaccai a lui, ai suoi abiti laceri, ad un brandello di giacca. Non ci fu pietà. Le donne e i bambini si disperavano. Nessuno fu sfiorato dal pianto di quegli innocenti, dagli occhi spauriti, sofferenti. Ci portarono via e fortuna volle che non mi separarono da mio padre...

. 15 febbraio 1944, l'alba. Eravamo tutti rannicchiati in quella grotta angusta. Mio padre lo vedevo di spalle. Appoggiato all'estremità della grotta volgeva lo sguardo all'esterno, verso l'uscita. Io, con il resto della famiglia, mi trovavo in fondo al rifugio. Mia madre, al mio fianco, teneva tra le braccia la piccola Jolanda, l'ultima arrivata. Jolanda, con il suo viso d'angelo, tremante di paura e consumata dalla fame. Mario, Eugenio e Benedetto erano una nidiata impaurita aggrappata alla mamma. Una scena indescrivibile. Mio padre era come una grande croce all'ingresso della grotta. Non ricordo l'ora esatta, forse le sette o le otto del mattino. Mio padre parlò - forse solo a se stesso - senza voltarsi. "Forse passano soltanto" disse di quegli aerei giunti all'improvviso, le sue ultime parole. Mi è rimasto, nella memoria, il tono, il suono delle parole, più che le sillabe strozzate. In quell'attimo tutto crollò su di noi. Lui era già scomparso...

. ...La fame e la sete mi fecero uscire dalla tana come un lupo in cerca della sua preda, ignorando il pericolo che incombeva ad ogni istante. Mi allontanai dai miei alla ricerca di acqua e cibo. Un sentiero - un piccolo sentiero - si allungava lungo il monte. Camminai a lungo strisciando a tratti come un serpe per ritrovarmi, al termine, ai piedi di un vecchio casolare abbandonato, quasi del tutto diroccato. Vi entrai senza riflettere e senza timore alcuno: avevo smarrito perfino il senso del pericolo, della paura, della morte. Cercavo disperatamente qualcosa - qualsiasi cosa - pur di non tornare a mani vuote, scavai tra le macerie incurante del martellamento di colpi. Mi venne tra le mani una giubba militare tedesca, priva di fregi e distintivo. La infilai senza alcun ritegno, come se mi appartenesse. Era la "mia" giacca. Il corpo infreddolito ne reclamava la proprietà, non c'era altro tra quelle macerie...

. ...Dalla tragedia di Montecassino del 15 febbraio era trascorso un mese, trenta giorni in quella grotta in attesa della morte. L'alba del 15 marzo non appariva diversa dalle altre lasciate alle spalle. Il silenzio della morte ci aveva condotti verso un mondo lunare, privo di vita, senza più vegetazione. Ma quel mattino si riversò sulla terra tutta la ferocia dell'uomo e credemmo davvero che fosse giunta la nostra ora. Per tutto il giorno il suolo tremò; era l'ora della verità. Non ci fu palmo di terra - già tante volte martellata - che non fu scavato più profondamente. Il giorno più lungo, un giorno indimenticabile, anzi, un altro giorno indimenticabile. La montagna aveva cambiato fisionomia, era diventata bianca. La roccia, stritolata, si era fatta sabbia. Fiumi interminabili di sabbia bianca scendevano a valle. Intorno - tutto intorno - immensi crateri ardenti...

Vittorio Miele nasce a Cassino nel 1926 e muore nella stessa città nel novembre 1999. Coinvolto nei drammatici fatti bellici che segnarono la storia della sua terra, Miele affida alla ricerca pittorica il senso concreto e intimo della sua esistenza. Formatosi artisticamente nella Urbino dell'immediato dopoguerra inizia la sua attività espositiva a metà degli anni sessanta. Nel decennio successivo trascorre lunghi periodi negli USA e in Canada dove tiene personali a Detroit, Toronto e Montreal. Negli anni ottanta presenta le sue opere al Trittico di Roma, alla Michelangelo di Pescara e alla Nuova Scaligera di Verona. Dal 1990 inizia una lunga e proficua collaborazione con la galleria Gagliardi di San Gimignano. Nel 2010 la Fondazione Umberto Mastroianni gli dedica una esauriente antologica presentata da Luigi Tallarico e Maurizio Calvesi. I suoi dipinti sono presenti in prestigiose gallerie in Italia, Stati Uniti, Giappone, Francia. Della sua opera si sono occupati, tra gli altri, P. Annigoni, M. Carlino, R. Civello, C. Ricci, U. Mastroianni, L. Rea, L. Tallarico, D. Trombadori, R. Zani.

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