Willy Monteiro Duarte: il prezzo del coraggio e dell’altruismo di fronte al bullismo
di Sabrina Fasano
Il bullismo, tema purtroppo sempre attuale, nelle sue molteplici forme - fisico, psicologico, verbale o digitale - rappresenta una delle manifestazioni più diffuse e sottovalutate della violenza sociale. Non si tratta di un semplice "litigio tra ragazzi", ma di un comportamento sistematico di sopraffazione, capace di insinuarsi nei gruppi, radicarsi nella vita quotidiana e generare un clima di paura, omertà e impotenza. Quando l'aggressività non viene riconosciuta e fermata in tempo, può evolvere in vere e proprie dinamiche di branco, in cui la forza diventa strumento di affermazione e il rispetto dell'altro viene percepito come debolezza.
È proprio all'interno di questo terreno fertile per la violenza che si inserisce la storia di Willy Monteiro Duarte, tornata d'attualità per la conferma dell'ergastolo inflitto a uno dei suoi assasini, Marco Bianchi: una storia che colpisce sempre e che non parla soltanto di bullismo, ma di coraggio, altruismo e del prezzo altissimo che, a volte, chi sceglie di fare la cosa giusta si trova a pagare.
Sono trascorsi ormai cinque anni dalla morte di Willy Monteiro Duarte, cittadino italiano di origine capoverdiana, ucciso il 6 settembre 2020. Aveva appena 21 anni, ma una vita piena di sogni davanti a sé. Viveva con la sua famiglia e lavorava come aiuto chef in un albergo della zona.
Siamo a Colleferro, un comune di circa ventimila abitanti in provincia di Roma. Un paese piccolo, apparentemente tranquillo, che però non è stato risparmiato da una violenza cieca e collettiva. Per capire cosa accadde quella notte tra il 5 e il 6 settembre, bisogna tornare alle sue ultime ore di vita.
Dopo il turno di lavoro, Willy raggiunge alcuni amici al pub Due di Picche, in largo Santa Caterina. Nulla lasciava presagire il dramma che stava per consumarsi. Una rissa scoppia improvvisamente tra il suo amico Federico Zuma e Francesco Belleggia, accusato di aver importunato alcune ragazze. Una telefonata, e in pochi minuti arrivano sul posto i fratelli Marco e Gabriele Bianchi, che si gettano nella lite senza sapere né capire cosa stesse accadendo.
Nel caos generale, Willy viene travolto. Cade a terra, già tramortito, incapace di rialzarsi. Marco Bianchi continua a colpirlo con calci e pugni anche quando è ormai inerme. Mentre molti scappano, l'amico Samuele Cenciarelli prova disperatamente a proteggerlo con il proprio corpo, ma non basta: la furia del branco è troppo violenta.
Le testimonianze dei presenti si rivelano decisive per ricostruire i fatti e confermare le responsabilità dei quattro aggressori: Mario Pincarelli, Francesco Belleggia e i fratelli Bianchi, tutti già noti alle forze dell'ordine per lesioni e spaccio di droga. I Carabinieri li fermano subito dopo la rissa; la Procura di Velletri, con un'inchiesta lampo, dispone gli arresti il 9 settembre.
A distanza di cinque anni, la Cassazione ha reso definitivo l'ergastolo per Marco Bianchi e ha disposto la celebrazione di un nuovo appello - il terzo - per il fratello Gabriele, per discutere le attenuanti generiche.
Il caso scuote l'Italia. A colpire l'opinione pubblica è soprattutto la brutalità del pestaggio: un giovane steso a terra, circondato e colpito fino alla morte mentre molti assistono impotenti. Nel processo, i fratelli Bianchi vengono riconosciuti colpevoli di omicidio volontario, con l'aggravante della piena consapevolezza della forza impiegata - entrambi erano esperti di arti marziali, in particolare MMA - e vengono condannati all'ergastolo.
La storia di Willy ci costringe a riflettere su quanto possa essere difficile, perfino per un ragazzo buono e altruista come lui, intervenire per aiutare gli altri senza rischiare conseguenze drammatiche. Eppure, il suo gesto rimane un simbolo potente: un atto di coraggio che l'Italia non può e non deve dimenticare. A raccontare una delle storie più tragiche della cronaca italiana è 40 secondi, film uscito da pochi giorni in tutte le sale. Mantenere viva la memoria è fondamentale per non ripetere gli stessi errori - o, per meglio dire, gli stessi orrori.




